Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2019
Tutto sui pesci pulitori
Immaginate di dover risolvere questo semplicissimo problema (noto come «compito della ricompensa effimera»). Vi vengono presentati due stimoli, chiamiamoli A e B. Per esempio, due vassoi che contengono la stessa quantità di cioccolatini. Se scegliete il vassoio A ricevete i cioccolatini che si trovano su quel vassoio, mentre verrà rimosso il vassoio B. Se, invece, scegliete il vassoio B potete ottenere tutto il bottino: i cioccolatini che stanno sul vassoio B e, una volta mangiati questi, anche quelli che stanno sul vassoio A.
L’intuizione suggerisce che gli animali che sono più vicini a noi debbano mostrare capacità di apprendimento superiori rispetto a quelli che sono più lontani. La vicinanza viene spesso ricondotta alla somiglianza morfologica, cioè a quanto un animale ci assomiglia. In termini scientifici potrebbe essere resa con il grado di parentela o «distanza filogenetica»: quanto più recentemente un animale ha condiviso un antenato con gli esseri umani tanto più sarà intelligente. Torniamo allora al nostro esempio.
Per massimizzare il numero di cioccolatini che si possono ottenere nel compito della ricompensa effimera basta scegliere sempre il vassoio B. Sorprendentemente, animali molto vicini a noi, come gli scimpanzé e gli oranghi, trovano il compito alquanto difficile, richiedendo più di un centinaio di prove per giungere a una prestazione ottimale. Cosa vi aspettereste dai pesci? Che siano necessarie mille prove, diecimila prove perché possano apprendere? O addirittura che siano del tutto incapaci di apprendere a effettuare la scelta ottimale?
Qualche anno fa un gruppo internazionale di ricercatori ha mostrato che individui di una specie di pesci pulitori (i labri pulitori, Labroides dimidiatus) sono in grado di imparare il compito in meno di cento prove, comportandosi quindi molto meglio di scimpanzé e oranghi. Ma com’è possibile?
I «clienti» di questi animali sono pesci di altre specie, spesso di grandi dimensioni, che consentono ai labri pulitori di avvicinarsi e di nutrirsi degli ectoparassiti e di sostanze come il muco che si trovano nella zona della bocca, degli occhi e delle branchie. I pulitori ne ricavano cibo e i loro clienti si liberano dei parassiti. C’è però una complicazione. Le squame, la pelle e il muco del cliente sono molto più nutrienti dei parassiti, per cui è difficile per il labro pulitore resistere alla tentazione, a volte, di mordicchiare il cliente e portarsene via un pezzetto. Con alcuni clienti, come i grandi predatori, il rischio è troppo elevato, e il labro pulitore si astiene dall’imbrogliare pesci che potrebbero divorarlo. Si astiene da ogni furbizia anche con i pesci della barriera corallina che, pur non essendo potenziali predatori, non sono residenti, e in quanto visitatori occasionali potrebbero decidere di dirigersi verso le «stazioni di servizio» di altri pesci pulitori se non sono stati trattati bene. Invece, clienti come i piccoli pesci residenti, che non hanno altre opzioni, il labro pulitore li lascia, letteralmente, a fare la fila: se alla stazione arriva un grande predatore o un non residente questo viene servito subito, mentre i residenti devono aspettare.
La complessità di queste interazioni è impressionante: un labro pulitore si impegna in circa duemila sessioni di pulizia giornaliere, e tiene traccia di almeno un centinaio di clienti, ricordando inoltre se l’interazione sia stata positiva o negativa (se in precedenza ha trattato male un grosso pesce, il labro «si scusa» successivamente con una pulizia più accurata e intensa).
I pesci pulitori apprendono che alcuni clienti sono visitatori effimeri, che se trovano la stazione già occupata si rivolgono altrove, mentre altri clienti sono visitatori stabili e duraturi. Conviene perciò servire prima e più prontamente i clienti effimeri, lasciando i residenti per dopo, così da massimizzare l’utile. Nei pesci pulitori queste circostanze ecologiche rendono facile la soluzione del problema della ricompensa effimera: scegliere il vassoio B in vista dell’ottenimento, dopo un breve ritardo, anche della ricompensa che si trova sul vassoio A.
Il breve ritardo – dovuto al fatto che il premio che si trova sul vassoio A sarà accessibile solo dopo qualche istante, una volta consumato il premio che si trova sul vassoio B – è un aspetto cruciale del compito, che lo accomuna a un altro fenomeno ben noto agli psicologi del pensiero (ne ha parlato Paolo Legrenzi su queste colonne il 12 maggio scorso nel suo articolo «Cedere alle tentazioni è un vero insuccesso»). Quando si tratta di scegliere tra l’ottenimento immediato di una piccola ricompensa (ad esempio, un cioccolatino) e l’ottenimento ritardato di una ricompensa di maggior valore (quattro cioccolatini) molte creature manifestano una qualche difficoltà a esibire il necessario self-control per procrastinare la soddisfazione del desiderio. Nel compito della ricompensa effimera le due alternative (il vassoio A e il vassoio B) forniscono una identica ricompensa nell’immediato, ma l’alternativa ottimale (il vassoio B) ne fornisce una ulteriore con un po’ di ritardo.
L’introduzione di un intervallo tra la scelta per un vassoio e la ricompensa (la prima ricompensa) rende, prova dopo prova, meno impulsiva la scelta. I piccioni e i ratti con questo piccolo stratagemma possono imparare a scegliere l’alternativa ottimale, sebbene non con la stessa rapidità dei labri pulitori.
La distanza filogenetica non può essere usata come un indice di miglioramento cognitivo, perché l’evoluzione produce cambiamento, non progresso. Un modo diverso di considerare l’evoluzione dell’intelligenza si basa sull’ecologia anziché su un criterio antropocentrico come il grado di similarità con la nostra specie (per inciso, ci piace sottolineare che abbiamo più del novantotto per cento di geni in comune con gli scimpanzé, trascurando di notare che abbiamo il quaranta per cento dei geni in comune con le banane). Secondo questa ipotesi la capacità degli animali di affrontare un determinato problema sarebbe legata alla storia evolutiva di ciascuna specie, e quindi alle condizioni ecologiche nelle quali quella capacità si è evoluta. Questo spiegherebbe perché si possano osservare esempi d’intelligenza sofisticata in animali che non posseggono cervelli molto grandi o strutturalmente molto diversificati. Come nel caso dei labri pulitori.