Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2019
Storia delle guerre corsare nel Mediterraneo
Intorno ai corsari e al fenomeno barbaresco, scrive Bono nelle ultime righe di questo suo libro, ci sono molte leggende: alcune lontane nel tempo, altre tornate in auge in questi nostri anni duemila sulla scia dell’islamofobia che associa “barbaro” a “islamico” [pp. 230-231].
Parlare di Mediterraneo significa prendere le misure di molte cose.
Scrive Fernand Braudel nel suo Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, [Einaudi, p. 317 e sgg.] che, a partire dal XVI secolo, a dominare le acque non sono più le grandi galee ma una nuova flottiglia veloce, mobile, azzardata, capace di attaccare i grandi convogli e di sequestrare le grandi navi.
La decadenza di Venezia comincia in quel momento, quando le navi della Serenissima non sono più in grado di muoversi nel Mediterraneo. Un secolo dopo, all’inizio del ’600, gli inglesi e i fiamminghi entrano nel Mare nostrum, a lungo interdetto per loro, con mercantili che contemporaneamente erano equipaggiati per la guerra, come per il traffico.
Come scrive Alberto Tenenti ora «Il Mediterraneo è del tutto simile a un bosco pullulante di masnadieri; dovendolo percorrere in tutta la sua ampiezza per raggiungere Livorno, Alessandria, Beirut, Costantinopoli e Venezia, occorreva essere ben armati» [Tenenti, Venezia e i corsari, Laterza, pp. 84-85].
La dimensione della nave non è solo un dato tecnico, è anche il segno di come ci si avventura in uno spazio in cui il rischio dell’assalto è altamente probabile. Alla fine del XVI secolo non sono più le grandi navi, che hanno fatto la fortuna di Venezia tra XIV e XV secolo, ad essere le protagoniste. La nuova padrona delle acque è la vela leggera. Non è l’unica novità. L’altra è costituita proprio dalla presenza di quei “masnadieri”.
Chi sono, cosa fanno, e soprattutto quanto durano i “masnadieri”?
Primo punto: i corsari non sono predoni. Sono figure che agiscono, spesso al di fuori delle regole della guerra, ma sono parte del sistema di relazioni, più spesso di “guerra guerreggiata” tra potenze dentro il Mediterraneo. «I pirati – spiega Bono – svolgevano la loro attività in forma del tutto autonoma e a proprio esclusivo profitto». Non così i corsari che, invece, «agivano di fatto nello stesso modo attaccando le loro vittime, ma erano autorizzati a farlo da governi e istituzioni dello stato al quale appartenevano e dovevano rispettare condizioni e limiti precisi» [p.12]. La guerra corsara era fondata su una legalità, osserva Bono, «comportava un insieme di principi e di regole al cui rispetto si era tenuti e in base ai quali, in caso di incidenti e controversie, tribunali e giudici specializzati stabilivano chi avesse ragione o torto e in qual modo la vertenza si dovesse concludere». [p.77].
Secondo punto. L’esperienza corsara coinvolge tutte le realtà politiche che agiscono sul Mediterraneo. Pur essendo stata identificata a lungo con il mondo islamico – individuando nel porto di Algeri il luogo principale della scena, accanto e in contrasto si colloca Malta che rappresenta l’Europa e il confine sud della cristianità.
Non solo. Una quota rilevante di corsari erano transfughi dal proprio mondo verso la realtà avversario. Ci sono corsari che combattono per l’Islam che sono europei cristiani, nuovi convertiti, così come, al contrario ci sono corsari che si battono per le diverse potenze europee, e che sono musulmani passati dall’altra parte.
Dalla fine del Cinquecento quel passaggio dall’altra parte, per esempio, riguardò in quantità consistente inglesi e olandesi che spesso assumono ruoli di comando (Bono descrive dettagliatamente le loro storie a pp. 95 e sgg.).
«Armatori e comandanti di navi – scrive l’autore – gente dell’equipaggio, uomini della ciurma, schiavi o liberi, potevano essere neri africani o ucraini maghrebini o albanesi, catalani o bosniaci, tedeschi o siciliani, turchi dell’Anatolia o portoghesi delle Indie orientali». E conclude: «Il mondo mediterraneo nella storia della guerra corsara e della schiavitù, come in tutta la sua storia, è stato un eccezionale e continuo melting pot». [p.113]
Terzo punto: quali sono i tempi dell’esperienza corsara? Bono distingue tre fasi [p. 116 e sgg.]: la prima è quella cinquecentesca e di fatto si chiude con la battaglia di Lepanto (1571); la seconda è collocabile tra 1574 (riconquista musulmana di Tunisi) fino alla conclusione della guerra di Candia (1699). In quell’anno gli Asburgo conquistano il controllo dei Balcani, fermano l’espansione ottomana verso Occidente. La frontiera mobile è ora rappresentata dal Mediterraneo meridionale. Quella condizione caratterizza un incerto ’700 in cui domina il mercato degli schiavi. Poi con la Restaurazione la Francia postnapoleonica cerca uno spazio nel Mediterraneo ora in gran parte “inglese” oltreché, naturalmente, anche ottomano. Nel 1830 le truppe francesi entrano ad Algeri. Tramonto dell’età dei corsari.