Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2019
Sciascia a trent’anni dalla morte
Molti si sono provati a disegnare un ritratto di Sciascia scrittore. Ne sono venuti fuori abbozzi più o meno convincenti. Nessuno è arrivato al ritratto compiuto, artisticamente rifinito. Fa eccezione Giuseppe Montesano che nel 2009 ha firmato un ritratto d’autore perfetto, una china di mossa e acuta narrazione. Uno Sciascia sopreso in biblioteca, un trappista piegato sui suoi pensieri, un indagatore in nome della ragione e della giustizia, tra filologia investigativa e invenzione della verità: «Un monaco bibliofilo e malinconico sprofondato nei suoi palinsesti, ma un monaco dal cui saio spunta una coda di diavolo illuminista; un siciliano in cui l’isola delle meraviglie e delle oscurità è diventata carne e respiro, ma un siciliano che parla con Stendhal e Voltaire e con l’intera cultura europea; uno scrittore raffinato e innamorato del mot juste, ma anche un uomo coraggioso e capace di mettersi in discussione: è così che ci appare oggi Leonardo Sciascia. In Italia e forse in Europa Sciascia si presenta come un caso unico, uno scrittore singolare e molteplice che non somiglia a nessuno». Sciascia, la cui voce, insieme a quella di Pasolini, ha goduto in Italia di una «risonanza pubblica» così potente da far tremare i Palazzi del potere politico, «dalla sua curiosa esperienza siciliana» costruì, ha scritto Gore Vidal, «una letteratura diversa da qualsiasi altra cosa fatta in Europa».
È con queste premesse critiche che si aprono le celebrazioni per il trentennale della morte dello scrittore, avvenuta a Palermo il 20 novembre 1989. Tutto è cominciato con il recupero delle testimonianze di Vincenzo Consolo che, conversando con Salvatore Picone, dichiarava che Sciascia era stato per lui «una sorta di Virgilio» che gli aveva «fatto scoprire la realtà più alta della Sicilia»; e aggiungeva che i romanzi polizieschi di Sciascia sono «romanzi rovesciati»: «nel senso che» l’autore parte «dal morto ammazzato in piazza e non si arriva mai alla verità, perché» si tratta di «delitti politico-mafiosi» (Salvatore Picone, Di zolfo e di spada. Conversazioni con Vincenzo Consolo intorno a Leonardo Sciascia, Prefazione e Introduzione di Gaetano Savatteri e Salvatore Ferlita, Salvatore Sciascia Editore, pagg. 84, € 8). Lo stesso Sciascia dichiarò a Peter Kammerer che «l’Italia è tutta un romanzo poliziesco, ma senza una soluzione». Da qui, il giovane Consolo capì «che cosa nascondeva il sorriso di Sciascia, capì che cos’era per lo scrittore il racconto poliziesco: uno strumento –il più opportuno e il più valido forse, il più robusto e il più appuntito, il più lucido senz’altro– per affrontare la realtà, la oscura, terribile realtà siciliana» (queste ultime testimonianze si leggono ora nell’ultimo numero della rivista «Il Giannone», Leonardo Sciascia trent’anni dopo, a cura di Antonio Motta, Centro Documentazione Leonardo Sciascia 2019, pagg. 468, € 50). La corrispondenza tra Sciascia e Consolo (Essere o no scrittore, Lettere 1963-1988, Archinto 2019, a cura di Rosalba Galvagno, pp. 86, € 14,00), racconta la storia dell’amicizia tra l’allievo e il suo Virgilio: dapprima Consolo si rivolge al maestro con un imbarazzato «Egregio signor Sciascia», prosegue quindi con «Caro signor Sciascia», continua con «Caro Sciascia», arriva alla confidenza e intimità del «Caro Leonardo».
I contributi più impegnativi vengono dalla rivista «Todomodo» dell’Associazione Amici di Leonardo Sciascia che, fra l’altro, in collaborazione con il Centro Sudi Pier Paolo Pasolini e poi con l’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, il Centro Studi Pier Paolo Pasolini ancora una volta, l’editore Leo S. Olschki, e la Sorbonne Université 4, ha organizzato a Casarsa della Delizia e a Parigi (con la direzione di Filippo La Porta) due imponenti Convegni su Gli eretici Pasolini e Sciascia . Affinità e differenze fra due intellettuali soli, «fraterni e lontani» (8-9 novembre) e Esercizi di ammirazione. Di sbieco: Sciascia e gli “irregolari” del Novecento (21 e 22 novembre).
Ogni numero di «Todomodo» è un seminario aperto sulle carte inedite di Sciascia e sugli studi critici più aggiornati dedicati allo scrittore nei vari continenti. Tutti i singoli e ponderosi fascicoli della rivista, pubblicati da Olschki, non si esauriscono nella materia trattata; ma suggeriscono approfondimenti, e producono libri monografici pubblicati, sempre da Olschki, in collane di fiancheggiamento. È il caso del «Todomodo» dell’anno scorso dedicato alla fortuna di Sciascia in Francia e alla frequentazione della letteratura tedesca da parte dello scrittore di Racalmuto. Da questi primi sondaggi vengono fuori due libri: sul maggior traduttore in Francia (Giovanna Lombardo, Grazie per la traduzione. Leonardo Sciascia e Mario Fusco, lettere 1956-1989: pagg. 112, € 18); e sui rapporti intrattenuti da Sciascia con le culture di lingua tedesca, soprattutto con la letteratura asburgica, mitteleuropea, malinconicamente avviata al crepuscolo della «Finis Austriae» e del (saviniano) «Uomo della Fine» (Nel paese di Cunegonda, a cura di Albertina Fontana e Ivan Pupo, in corso di stampa, pagg. 232).
Sciascia era un «letterato cosmopolita, tra i maggiori del nostro secondo Novecento», scrive Bruno Pischedda nella elegante Prefazione al volume Nel paese di Cunegonda. Viaggiava dentro una vasta biblioteca ideale che non conosceva limiti geografici, nonostante non fosse un poliglotta. E per interrogare l’esperta di chimica molecolare Ida Noddack e il padre della fisica quantistica Werner Heisenberg sul caso Majorana (sulla possibilita che il giovane fisico italiano si fosse voluto sottrarre con la sua «scomparsa» a una devestante ricerca che avrebbe portato all’applicazione bellica della scissione o fissione atomica) si servì della mediazione della comparatista italo-tedesca Lea Ritter Santini impegnata nella revisione della traduzione in Germania della Scomparsa di Majorana e nella stesura di un saggio sulla controversa sparizione del fisico catanese.
«Todo Modo» allarga l’orizzonte. E nel nuovo volume, in corso di stampa, si occupa della ricezione dell’opera sciasciana in Iran e in Turchia, nei Paesi arabi e in Australia; con una parentesi su Sciascia conoscitore e traduttore della poesia spagnola del Novecento. Continuano intanto le uscite, sempre da Olschki, dei libri paralleli alla rivista; come «E Sciascia che ne dice?». Il catalogo è questo!» (a cura di Francesco Izzo, pagg. 98, € 19). Un volume miscellaneo, quest’ultimo, che è un omaggio a Sciascia, ma anche al raccontar per immagini di Mino Maccari, un grande «epigrammista del pennello», come ebbe a definirlo il poeta Elio Filippo Accrocca. Sciascia e Maccari erano amici. Collaborarono insieme per alcune copertine della casa editrice Sellerio. Morirono nello stesso anno. Entrambi vengono ricordati a trent’anni dalla morte. Di Maccari, Sciascia scrisse: «Sotto le apparenze divertite, sotto una fantasia che sembra ilare, c’è nelle cose di Maccari qualcosa di simile alla pirandelliana “pena di vivere così”, il senso della “trappola“, lo smarrimento della creatura di fronte allo specchio, di fronte alla natura, di fronte al destino».