Il Sole 24 Ore, 15 settembre 2019
Sui prezzi del petrolio rischi come nel 1973
Fortuna vuole che il mercato da un anno stia in eccesso di offerta, con prezzi del barile che sono scesi dagli 85 dollari di inizio ottobre 2018 agli attuali 60 dollari.Prima c’è stato il forte incremento della produzione saudita per andare incontro alle richieste di Trump, che ha voluto ripristinare il blocco delle esportazioni dell’Iran. Poi si è rafforzato il continuo, e incredibile, aumento della produzione americana, grazie al fracking. Infine, ha giocato il rallentamento dell’economia globale, causa la guerra dei dazi. L’effetto è che le scorte mondiali di petrolio sono ancora molto alte, quelle OCSE a livelli superiori di 30 milioni barili alla media degli ultimi 5 anni. Potrebbe non essere sufficiente per evitare uno shock di prezzi, visto che si parla di un dimezzamento della produzione saudita da 10 a 5 milioni barili giorno, taglio dell’ordine di grandezza di quello del 1981 dopo la guerra Iran-Iraq o di quello dello Yom Kippur dell’ottobre del 1973. È sì pari al 5% della produzione mondiale, ma rispetto alle esportazioni globali, quelle che contano per i prezzi, rappresenta almeno il 10%. Inoltre, il prezzo del petrolio si decide, come in tutti i mercati competitivi, al margine, e basta un leggero squilibrio per fare schizzare i prezzi. L’Arabia Saudita da mesi mostra una disciplina raramente vista nel passato nel rispettare gli accordi, con forte determinazione nel contenere la produzione. Pochi giorni fa aveva annunciato la disponibilità ad ulteriori tagli, aggiustamento che ora risulterebbe del tutto superfluo. Un elemento tranquillizzante era, fino a ieri, l’alto livello di capacità produttiva inutilizzata, 3,2 milioni barili giorno, valore relativamente alto e tale da far ridurre i prezzi. Tuttavia, l’80% di questa capacità è in Arabia Saudita e di fatto ora non si sa che fina abbia fatto.
La compagnia di stato saudita Aramco cerca di tranquillizzare ed è vero che già dopo gli attacchi dei droni a maggio e giugno gli effetti sul mercato furono marginali. Anche gli incidenti nello stretto di Hormuz, con le minacce dell’Iran di bloccare lo stretto dove transitano 15 milioni barili giorno di petrolio, non hanno avuto molto effetto. Il mercato era quasi deluso che tali tensioni non avessero sostenuto i prezzi.
Domani, alla riapertura dei mercati, scopriremo se questa volta le cose sono diverse. I volumi coinvolti sono enormi e in ogni caso gli Houthi si dimostrano militarmente capaci. Fosse vero il taglio di 5 milioni e dovesse durare per almeno 2 settimane, allora i prezzi potrebbero schizzare velocemente verso gli 80 dollari, in attesa di capire i tempi di ripristino. Dovessero essere lunghi, magari con un peggioramento degli aspetti militari, allora la soglia dei 100 verrà facilmente raggiunta.
Una delle pesanti eredità che ci ha lasciato la crisi finanziaria del 2008, quando il barile raggiunse i 140 dollari, è il basso livello di inflazione, quasi deflazione.
Tassi bassi, crescita fiacca, borse ai massimi, tutti elementi che richiederebbero più inflazione. Questa volta potrebbe arrivare dal barile. Dovesse tornare verso gli 80 dollari, per noi in Italia significherebbe un prezzo alla pompa di circa 10 centesimi in più sulla benzina, oltre 1,6 euro per litro.
I terroristi hanno fatto l’attacco a mercati chiusi, con prezzi che per qualche ora rimarranno fermi. Chi ha tempo si affretti, vada a fare il pieno, lunedì sicuramente non scenderanno.