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 2019  settembre 14 Sabato calendario

Cosa fu il caso Dreyfus

Coronato del Premio della Giuria di Venezia, arriva nelle sale cinematografiche il film di Roman Polansky J’Accuse. Alla più parte del pubblico il titolo dirà poco: in realtà si trattò di un processo che travagliò la Francia alla fine dell’Ottocento, portandola quasi sull’orlo della guerra civile. 
Tutto cominciò nel Settembre 1894, quando il controspionaggio di Parigi scoprì che dallo Stato Maggiore dell’Esercito venivano trasmesse alla Germania importanti e riservate informazioni militari. I sospetti caddero su Alfred Dreyfus, un trentaseienne capitano di artiglieria ebreo, eterno straniero in patria. Come vittima sacrificale, Dreyfus era la persona più adatta. Per la sua religione era visto con diffidenza dai conservatori e per la sua divisa era odiato dai sinistri. Quanto a lui, non faceva nulla per rendersi simpatico, era schivo, silenzioso e corretto sino all’esagerazione. Anche al processo, sembrò una spia travestita da spia. 
L’addetto all’indagine, maggiore Henry, convertì i propri pregiudizi in prove fasulle, e confezionò un fascicolo segretoinfarcito di documenti alterati. Da quel momento il percorso fu quasi obbligato: Henry convinse i superiori, che a loro volta convinsero i giudici militari. Dreyfus fu processato a porte chiuse e senza difesa, fu degradato, condannato all’ergastolo, e spedito all’isola del Diavolo, un’arida e pestilenziale scogliera al largo del Sudamerica. Come ultima infamia, l’esercito comunicò alla stampa che l’imputato aveva confessato. E tutto parve finire lì.

REGOLARITÀ
Nei tre anni successivi qualcuno cominciò a dubitare della regolarità del processo e della colpevolezza del condannato, anche in seguito a forti indizi emersi nei confronti di un altro ufficiale, il maggiore Ferdinand Esterhazy, un corrotto individuo, oberato di debiti e con ambigue frequentazioni. Ma una nuova inchiesta, e magari un nuovo colpevole, avrebbero annullato la precedente sentenza screditando l’ambiente militare, e l’Armée, in quel momento, era una delle poche certezze in cui confidassero i francesi, Così Henry continuò nelle sue manipolazioni. Falsificò una lettera, attribuita a un ufficiale italiano, che avrebbe confermato la colpevolezza di Dreyfus. Ma questa volta esagerò. 

LIBELLO
Bernard Lazare, un giornalista di sinistra pubblicò un libello Un errore giudiziario: la verità sul’affare Dreyfus, che aumentò i dubbi suscitati in precedenza. Così il nuovo capo del controspionaggio, colonnello Picquard rivedette l’intero fascicolo, scoprì la colpevolezza di Estehrazy e le falsificazioni di Henry, e riferì tutto ai suoi capi, che per tutta risposta lo fecero prima trasferire e poi imprigionare. Il buon nome dell’esercito doveva prevalere sulla giustizia e sulla condanna di un innocente. 
Ma ormai la perdita era diventata una piena. Molti intellettuali non si rassegnarono a queste vergognose pantomime, e cominciarono a polemizzare apertamente. Finchè il 13 gennaio 1898 Émile Zola, il più noto scrittore francese vivente francese, pubblicò sull’Aurore la lettera aperta al Presidente Felix Faure con il titolo J’Accuse- in cui elencava tutte le contraffazioni, le omissioni e le complicità dello Stato Maggiore. Lo scopo era quello di provocare una causa per diffamazione, e quindi squadernare davanti a un tribunale e all’opinione pubblica, il complotto contro Dreyfus. 
L’impatto fu enorme. La figura del povero capitano, relegato a migliaia di miglia, diventò il simbolo della legalità contro il sopruso, del progressismo contro la reazione, della laicità contro il clericalismo, della borghesia intraprendente contro la nobiltà conservatrice, del radicalismo repubblicano contro i sussulti dei nostalgici monarchici legittimisti. 
Per due anni L’Affaire, come ormai veniva chiamato, monopolizzò le pagine della stampa, le risse in parlamento e le discussioni nei salotti, rigorosamente distinti tra innocentisti e colpevolisti. Ogni salonnière, rivivendo i tempi d’oro dei due secoli precedenti, aveva i suoi Bossuet e i suoi Diderot: il conservatore Jules Lemaitre pontificava tra generali e prelati da Madame de Loynes, il camarade Anatole France regnava nel salon di Madame de Caillavet, ispirando Proust e rinfrescando la prosa francese con l’eleganza di Voltaire. Ma il conflitto non si limitò alle classi alte, si estese agli uffici, ai caffè, persino alle famiglie, dove frequenti risse testimoniavano le inconciliabili differenze di vedute, frantumando solide amicizie e vacillanti matrimoni. I trenta quotidiani che andavano a ruba a Parigi, naturalmente soffiavano sul fuoco.

TENSIONE
La tensione raggiunse il culmine quando il 7 febbraio si aprì il processo a Zola. Nel palazzo di giustizia della cité si accalcarono dame impellicciate e rissosi proletari, e spesso la polizia dovette intervenire per impedire zuffe sanguinose. Una folla agitata assalì la casa di Zola e gli uffici dell’Aurore, e vi furono manifestazioni antisemite. L’imputato si difese con coraggio e vigore, ma fu condannato, con 7 voti contro 5, al massimo della pena, un anno di prigione. Mezza Francia ribollì di rabbia: tremila intellettuali, filosofi, medici e artisti da André Gide a Claude Monet firmarono per la revisione, mentre nello stesso esercito si insinuavano il dubbio e lo sconcerto. Alla fine il ministro della Guerra, il conservatore Cavaignac, ottuso ma onesto, affidò a un altro ufficiale il riesame del dossier, che, a un esame attento e imparziale, rivelò le grossolane e reiterate falsificazioni di Henry. Quest’ultimo fu arrestato e si suicidò in prigione. L’intero castello accusatorio era crollato. 
Il resto fu un’incredibile sequenza di burocratiche ipocrisie. Il processo fu rifatto, e Dreyfus fu chiamato a presenziarvi. Arrivò dall Isola del Diavolo – dove non aveva saputo niente della sua vicenda che aveva così scosso la Francia – come un fantasma macilento e frastornato, nemmeno in condizione di difendersi. Il verdetto sorprese il mondo: colpevole con le attenuanti, e condanna a cinque anni, già scontati. La Francia ribollì di nuovo, ma stavolta il presidente Loubet troncò la questione con un’amnistia. L’esausto imputato la accettò, e le polemiche si placarono. Finalmente, il 13 Luglio 1906, dopo un definitivo annullamento della precedente condanna da parte della Cassazione, la Camera approvò una legge che lo reintegrava nella carica con il grado di Maggiore, conferendogli una decorazione. Il suo più strenuo difensore, il colonnello Picquart, divenne poco dopo ministro della guerra. Dreyfus morì, ultimo tra i protagonisti del dramma, il 12 Luglio 1935. Zola, l’autore della lettera, era scomparso nel 1902. Felix Faure, il presidente destinatario, era rimasto stecchito tre anni prima all’Eliseo, tra le braccia di una ballerina.