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 2019  settembre 14 Sabato calendario

Storia de “Le scimmie”, band femminile degli anni ’60

Castelvetro 1965, ai piedi dell’Appennino modenese. Il concorso «L’ugola d’oro» organizzato dalla società del Sandrone, irriverente maschera simbolo di Modena, viene vinto da un tipetto educato che si chiama Vasco Rossi e si presenta con Come nelle fiabe. Ma la novità della serata è un’altra, «Le scimmie», un «complessino» di cinque scatenate lolite. Sono loro le vite spericolate. Indossano divisa di lamé, pantaloni a zampa di elefante, capelli a caschetto stile Beatles (tagliati da Cleto, parrucchiere mutinense che già si è cimentato con il «casco d’oro» di Caterina Caselli), saltano, ballano con le chitarre al collo e cantano un motivetto femministeggiante: «Siamo donne lasciateci far, ci volete negar di suonar, ma che importa se non siam maschi come voi?». L’anno dopo si esibiscono alla festa dell’Unità. E diventano un gruppo stabile, tra i primi formati da sole donne, che si ritaglia per otto anni un ruolo gregario di tutto rispetto nel panorama del beat italiano. Nara Gavioli, l’ex chitarra, ne narra la storia in Note Ribelli, fresco memoir, sincero e divertente, che si legge come un romanzo di formazione della provincia italiana, tra capelloni, musica, emancipazione femminile, boom economico, fermenti sessantottardi. Il ricco corredo fotografico del libro, è un magnifico epos parallelo, che racconta costume, genti, Weltanschauungen dell’epoca.
Nara e le sue compagne, nate quasi tutte a Modena, la Nashville padana di Guccini, Nomadi, Equipe 84, crescono in quel milieu guareschiano che respira sia il governo comunista sia l’attivismo delle parrocchie. L’educazione musicale è fatta di pochi rudimenti, interiorizzati nell’infanzia ascoltando bande che suonano ouverture operistiche nei cortili e gli adulti che intonano bandiera rossa all’osteria. Poi, ovviamente, c’è il ciclone dei Beatles che innesca la voglia di scatenarsi in musica, i juke box, «le radio pirata» che trasmettono sound americani, e il maestro Odoardo Mozzarini, padre di tutti i complessi della «bassa» modenese. 
Acquistano a rate gli strumenti musicali, provano in garage e cantine, gli stessi luoghi dove gli operosi e geniali artigiani modenesi fondano aziende che ingrassano il Pil nazionale. Vogliono l’indipendenza, sfidano i pregiudizi dei padroni delle balere verso le ragazze musiciste (non sarebbero più adatte a impastare tortellini?), sfoggiano minigonne, respirano l’aria dei movimenti giovanili, ma non sono neppure sfiorate dall’astio verso la famiglia borghese che predica un Jerry Rubin qualsiasi (il «primo» Jerry Rubin, quello di Quinto: uccidi il padre e la madre, perché il «secondo» è diventato un paperonico azionista Apple). Anzi, scelgono l’ardua carriera artistica di concerto con i genitori che le sostengono economicamente e moralmente (uno dei padri che trasporta bombole del gas, impresta il furgoncino per le tournée). Partono con la scaramantica medaglietta di San Geminiano delle nonne cucita nel reggiseno, e quando sono lontane danno notizie di sé con telefonate a gettoni o cartoline. Una delle tante chiavi di lettura di questo libro - per inciso - è la storia meravigliosamente vintage delle comunicazioni pre-smartphone. Non avendo ancora il telefono in casa, lasciano agli impresari il recapito del vicino bar. Se arriva la notizia importante, il barista inforca la bicicletta e corre ad avvertire scampanellando sotto le finestre «Chiamata da Milano...». Altro strumento, sono i telegrammi gialli scritti in stampatello spediti dall’ufficio della stazione di Modena per confermare appuntamenti. 
La carriera delle Scimmie decolla nei dancing romagnoli. Rolling Stones e Casadei. Si allarga con tournée nella Svizzera dei migranti italiani (disprezzati dai sovranisti elvetici) e nel meridione, attraversando un pezzo di paese rurale ancora da costruire e modernizzare. Feste di piazza, sagrati dominati dai manifesti «Vota Democrazia Cristiana». Passano nella Rai di Marcello Marchesi. Nel maggio 68 suonano al Piper di Milano, e sulla Costa Smeralda dell’Aga Khan. Incidono un 45 giri, I colori del futuro (su youtube si può ancora ascoltare). Si divertono, ma non sfondano nell’industria discografica. 
Le scimmie viaggiano in treno; parecchio in autostop, come i beatnik ma senza conoscere Kerouac («nessuna di noi l’aveva letto, eravamo distanti anni luce dal malessere interiore dei ragazzi protagonisti del libro, il nostro autostop era solo un mezzo a scrocco molto diffuso per raggiungere la meta scelta»); e sull’(iconico) furgone Volkswagen, con i finestrini coperti da «tendine a quadretti bianchi e rossi per proteggere la nostra privacy». Perché il racconto della vita nomade non può prescindere dal meraviglioso «pudore incollato sulla pelle dalle nostre mamme. Ci spogliavamo dentro a cespugli e canneti per uscirne in mutande e reggiseno piene di graffi e punture di insetti». Loro, tutte ragazze emancipate, con parruccone, gambe nude, provocano terremoti erotici nel pubblico (gli occhi lupeschi dei maschi nella foto di un concerto a Lecce sono eloquenti). Quando passano in mezzo alle folle vengono smanacciate ovunque. Durante un concerto in una base Nato il livello di testosterone è quasi radioattivo. Ma le Scimmie, per lo meno nel memoir, non fanno del sesso libero una bandiera. Se trovano un corteggiatore piacevole preferiscono sposarsi e, come Naida Salis, batterista piombinese, non esitano ad abbandonare la carriera. 
Anche la drug, che insieme al sex, s’abbinava al rock di quegli anni è assente dalla vita emancipata delle Scimmie. Anzi. Quando nella comune di hippy, dopo i pistolotti peace & love arriva il rituale spinello, le modenesi declinano l’invito sorridendo, senza vergogna, forti di una vitalità padana che le tiene d’istinto lontane dal conformismo degli anticonformisti.
Intanto il mondo si assesta dopo gli scossoni dei sixties. Molte cose cambiano, anche nel consumo musicale. L’epoca dei gruppi che si esibiscono nei dancing volge al tramonto. Quando le Scimmie suonano nelle nuove discoteche, il pubblico resta seduto: aspetta il vero protagonista, il disc jockey che maneggia vinili, per scatenarsi nel ballo. All’inizio degli anni 70, si aprono al rock prog con Minimoog e look da Kiss. Ma nel ’74 si sciolgono definitamente. Si sposano, fanno figli, lavorano. Iniziano la vita normale, dalla quale erano partite. Nate in provincia «dove il conformismo era pane quotidiano» sono state protagoniste di una ribellione «quasi inconsapevole, perché priva di ogni influenza ideologica e politica». E proprio per questo autentica. Non come tante altre sovversioni che passano di moda perché non fanno i conti con la vita e il buon senso.