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 2019  settembre 14 Sabato calendario

Sul nuovo romanzo di Stephen King

Immaginate di risvegliarvi nella vostra camera, una notte. È tutto come lo avevate lasciato prima di addormentarvi, ma manca la finestra.
Immaginate di alzarvi, in preda alla confusione, e di osservare gli oggetti che vi hanno accompagnato nella vostra quotidianità: li riconoscete, potreste raccontare la loro storia. Eppure capite che non ne hanno: sono troppo perfetti, troppo puliti. Nessun graffio, nessuna sgualcitura, nessun segno del tempo passato assieme a voi. Non sono loro.
Immaginate di aprire la porta della stanza e di ritrovarvi in un corridoio asettico, illuminato da neon, in cui altri ospiti forzati come voi vi danno il benvenuto all’inferno, all’Istituto.
È quanto accade a Luke Ellis, un dodicenne come tanti altri, se non fosse per il quoziente intellettivo superiore alla media. Ma non è nemmeno questa la sua qualità più peculiare: a volte, Luke è capace di far muovere gli oggetti senza sfiorarli. Piccoli spostamenti indipendenti dalla sua volontà, ma che qualcuno monitora da quando è nato e che nell’Istituto un team di ricercatori cercherà di controllare e indirizzare per scopi misteriosi, anche a costo di esperimenti atroci.
Molti bambini hanno preceduto Luke e altri arriveranno. Nel dolore e nella paura nasceranno amicizie e alleanze. Ciascuno di loro ha un dono, la telepatia o la telecinesi. Assieme, cercheranno di resistere ad abusi fisici e psicologici, inflitti da adulti privi in empatia che li trattano come cavie, alcune – i ragazzi Rosa, non particolarmente dotati – addirittura sacrificabili in nome di uno scopo superiore.
Ma quale?
Luke e i suoi amici cominciano a chiederselo con sempre più forza. La risposta, però, non è lì, nella Prima Casa, ma nella struttura gemella seminascosta dal bosco, in cui a uno a uno i ragazzi vengono trasferiti senza dare più notizia di sé. Qualcosa di ancora più orribile e inquietante accade dentro la Seconda Casa, Luke ne è convinto. 
Lo sente. 
È un ronzio che fa vibrare i bulbi oculari nelle orbite e che sembra avvolgere la mente in ragnatele invisibili. L’origine è nel famigerato Reparto A, dietro la porta che prima o poi ognuno di loro sarà costretto a varcare.
Stephen King ritorna con una storia feroce, e tornano i suoi ragazzini impauriti e coraggiosi, il potere salvifico e vitale dell’infanzia e dell’amicizia, contrapposto a un certo mondo adulto perverso e sterile; tornano il Maine, la passione dell’autore per le capacità mentali fuori del comune, le piccole comunità americane, i personaggi genuini, la meticolosa descrizione di mondi perfettamente plausibili nella loro eccezionalità. King non si limita a raccontare una storia, la abita. È una voce narrante che non si nasconde. Si fa presenza tangibile nell’intimità degli spazi profondi tra le parole, si estrinseca nel suo immaginario riconoscibilissimo, nei rimandi e nelle autocitazioni («C’è una cittadina nel Maine, Jerusalem’s Lot, e se volete potete chiedere alla gente di lì che cosa sa degli uomini con le auto nere. Sempre che ci troviate ancora qualcuno. Sono scomparsi tutti quanti…»). King resta sempre accanto al suo lettore, accada quel che accada, nel bene e nel male. È un confidente a cui confessare – e con cui vivere – le paure più profonde. Come una guida di dantesca memoria – ho pensato al dipinto Dante e Virgilio all’Inferno, di William-Adolphe Bouguereau –, King indica gli orrori peggiori e suggerisce di guardarli bene: spesso, è un buon modo per esautorare la paura. Come direbbe Dante, alla fine del viaggio è impossibile non provare affetto per questo «Virgilio dolcissimo patre».
Stephen King ha scritto una storia terrificante e sincera, senza scendere a compromessi. Colpisce duro quando parla di brutalità e innocenza violata, non permette di distogliere lo sguardo, ma offre sempre una via d’uscita a tanto male: la speranza che pulsa nel nostro mondo interiore. Un mondo bambino che lui è in grado di ritrarre come pochi.