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 2019  settembre 14 Sabato calendario

Sul nuovo romanzo di Ian McEwan

Charlie Friend ha trentadue anni e, dopo una serie di fallimentari iniziative imprenditoriali, si barcamena con gli investimenti in Borsa. Non è mai riuscito a mantenere un lavoro, sempre per qualche problema disciplinare, ed è un mezzo nerd senza una donna, anche se nelle prime pagine del nuovo romanzo di Ian McEwan – il sedicesimo – si rende conto di essere innamorato della vicina, Miranda. Ma c’è un terzo incomodo. Già, perché con la vendita della casa dei genitori, invece di comprarsi un appartamento in una zona più signorile, ha deciso di regalarsi uno dei primi, costosi esemplari di robot domestico. 
Ah, dimenticavo: siamo nel 1982, ossia nel futuro. 
Con una temeraria ucronia, McEwan reinventa il passato prossimo e si diverte a immaginare un mondo in cui la Thatcher si è dimessa in seguito alla sconfitta nella guerra delle Falklands, i Beatles si sono riuniti per pubblicare un disco dall’opinabile titolo Love and Lemons e Alan Turing non si è suicidato, ma anzi è diventato un cervellone dandy e ha contribuito al vertiginoso progresso dell’intelligenza artificiale. E così i primi modelli di automa – battezzati Adam ed Eve, com’era prevedibile – vengono messi in vendita. Gli esemplari femminili, maliziosamente, terminano subito e Charlie è costretto ad accontentarsi di un maschietto, tutto fibre e chip, dotato di interruttore per spegnersi. Fin qui, tutto bene. L’automa ha un che di inquietante (ad esempio l’«ilarità senza gioia»), ma chiacchiera, sa un mucchio di cose, fa i lavoretti in casa. Eppure, come in ogni buona traduzione del mito da Mary Shelley a Black Mirror, qualcosa comincia ad andare storto. Adam non è così servizievole. Non solo, il replicante comincia a comporre poesie (haiku, per la componente matematica), legge Schrödinger e ne deduce di essere vivo, profetizza che la mente di ogni uomo confluirà in uno spazio mentale collettivo dove annegheranno le soggettività. Quando la fidanzata decide di provare a farci sesso, ecco che comincia a serpeggiare nella coppia un senso di fastidio («Lui era un vibratore bipede e io l’ultimissimo modello di cornuto»), ma anche di irrealtà. Quindi Adam, violando clamorosamente la prima regola di Asimov, ha un moto di aggressività e decide di non lasciarsi più spegnere. Chi è reale? Chi falso? 
Nel frattempo, un’altra minaccia, tangibilissima, incombe in seguito a un processo in cui Miranda è coinvolta per una presunta storia di violenza sessuale. La macchina si rivelerà moralmente molto più complessa di quanto non si potesse credere, forse proprio perché la morale è tortuosamente perversa.
Partendo da un gioco di parole intraducibile («Macchine come me e persone come te», ma anche: «Alle macchine piaccio io e alle persone piaci tu», come dire: non ci troveremo mai sullo stesso piano), McEwan si diverte a giocare con la speculative fiction e un intramontabile discorso morale: che cosa ci differenzia e distanzia dagli androidi? Qual è il confine tra intelligenza artificiale e umana? In quale momento possiamo dire che un ammasso di cavi comincia a provare dolore o piacere o semplici moti dell’animo? Che cosa cerchiamo veramente, un amico o un partner o uno schiavo, quando riproduciamo noi stessi? E poi cosa faremo del mondo? «Potevamo diventare schiavi di un tempo senza prospettive di impiego. E a quel punto? Ci aspettava forse un generale rinascimento, una emancipazione verso l’amore, l’amicizia, la filosofia, le arti e la scienza, l’adorazione della natura, gli sport e i passatempi, la creatività e la ricerca di un significato?».
L’ucronia è un pretesto per divertirsi, ad esempio quando cita i classici con il loro titolo di lavoro (Comma 18 di Heller, L’ultimo uomo in Europa di George Orwell, Tutto è bene quel che finisce bene di Tolstoj), ma è anche una ribellione all’attendibilità per addentrarsi nel territorio del racconto filosofico. 
Il futuro, ci dice McEwan non smette mai di arrivare, di rovesciarsi sul passato e di incombere con relative scelte e dilemmi. Gli uomini sono forse destinati all’obsolescenza, visto che il presente è «la più fragile delle strutture improbabili»? Saggiamente, non fornisce risposte univoche. È quello che fanno le strutture improbabili che passano sotto il nome di scrittori.