Corriere della Sera, 14 settembre 2019
Cina devastata dalla peste suina
PECHINO Riunione di alti dirigenti comunisti di Pechino nel pieno della crisi per Hong Kong. Parla l’autorevole compagno Hu Chunhua, vicepremier, e annuncia in tono grave «un ordine in stile militare da parte del Comitato centrale». Quale? Incrementare la produzione della carne di maiale, che è «un grande obiettivo politico» per evitare che l’immagine del Partito tra le masse venga offuscata. Non è una barzelletta: la peste suina arrivata dall’Africa l’anno scorso ha decimato gli allevamenti cinesi, sono morti di malattia o sono stati abbattuti per cercare di frenarla oltre un milione di capi, tra un terzo e la metà della popolazione locale di animali da carne. E il prezzo della carne di porco, che rappresenta il 60% del consumo proteici dei cinesi, ad agosto è salito del 46% rispetto a luglio. Ormai la febbre assassina di poveri porcelli si merita titoli di apertura sul tg e sui giornali di Pechino ed è stato annunciato che il governo sta attingendo alle «riserve strategiche» per cercare di calmierare il mercato. Già il fatto che ci siano riserve strategiche di carne di maiale fa capire quanto sia importante nella dieta cinese.
Ora la buona notizia: la Cina di Xi Jinping vuole comperare sul mercato americano la carne di maiale venuta a mancare sulle tavole dei cinesi a causa del devastante morbo, che per fortuna è innocuo per gli umani. Si tratta di due milioni di tonnellate (parte può arrivare anche dall’Europa). Lo sviluppo è positivo perché Stati Uniti e Cina sono impegnati in una feroce guerra commerciale e i maiali irrompono in uno scambio inatteso di cortesie tra i combattenti: Donald Trump ha rinviato di 15 giorni i nuovi dazi da 12 miliardi di dollari sulle merci cinesi «come gesto di buona volontà per non turbare la festa dei 70 anni della Repubblica popolare», che cade l’1 ottobre. La settimana prossima è in programma il primo incontro dopo mesi tra i negoziatori americani e cinesi a Washington.
Trump osserva che un «accordo temporaneo», cioè ridotto alle questioni più semplici del contenzioso commerciale, è possibile, anche se preferisce sempre il «Big Deal». Il presidente degli Stati Uniti aggiunge che finalmente i cinesi stanno comperando quantità significative di prodotti agricoli americani, in particolare sono in partenza dieci carichi di soia per complessive 600 mila tonnellate e poi c’è la grande fame di carne segnalata da Pechino.
La situazione è in rapida evoluzione: i cinesi hanno sospeso i dazi su una ventina di prodotti made in Usa, medicinali e mangime per animali; poi si sono informati sulla possibilità di acquistare massicce quantità di carne di maiale e semi di soia e ieri hanno tolto le restrizioni politico-sanitarie anche su questi. Così Xi Jinping risolve un problema di approvvigionamento interno e parla anche alla pancia degli agricoltori e allevatori americani, facendo un favore a Trump che si avvia alla campagna elettorale. Insomma, se in Italia è passato alla storia il «patto della crostata», tra Xi Jinping e Donald Trump potrebbe nascere il più sostanzioso «accordo della braciola di maiale».
Nel frattempo otto ministeri di Pechino cercano di alleviare la crisi causata dalla febbre suina: sono stati offerti sussidi agli allevatori per risollevare la produzione: fino a 1500 yuan (quasi 200 euro) a capo; l’allevatore di porci diventa «il più invidiabile lavoro in Cina» per la stampa; ci sono grandi città che vendono sottoprezzo le loro riserve per dimezzare i prezzi al consumo; c’è poi una pubblicità progresso per la quale è più saporita e salutare la carne di pollo (ma questa non è piaciuta al pubblico).