il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2019
Storia delle sirene
Una seduzione né carne né pesce, quella delle sirene: un po’ perché esula dal loro aspetto fisico, per quanto incantevole e luccicante; un po’ perché è veicolata dalla voce, dal canto e quindi dalla conoscenza; un po’, infine, perché è personificata da donne acerbe e immature, adolescenti volitive quanto refrattarie all’amore. È questo almeno il ritratto che ne fa Elisabetta Moro – professoressa di Antropologia culturale all’Università di Napoli Suor Orsola Benincasa – nel suo ultimo saggio: Sirene. La seduzione dall’antichità a oggi, in libreria da giovedì con il Mulino.
Algide e cerebrali, queste Sirene lolitesche sono figlie – secondo la mitologia greca – del dio fiume Acheloo e perciò nipoti di Oceano e Teti: come altre divinità, ninfe e amazzoni si sono votate alla verginità; non nell’accezione cristiana di illibatezza, ma in quella tutta di pagana di “libertà da vincoli matrimoniali” in primis. Proprio perché refrattarie sia all’amore sia alle nozze, sono tra le nemiche, e vittime, della potentissima Afrodite: una delle tante versioni del mito – cangiante, fluttuante e sgusciante come le loro code – vuole che la dea, irritata dalla loro fredda verginità, le abbia punite trasformandole in uccelli. È infatti sotto forma di donne piumate e alate che le Sirene vengono rappresentate nell’antichità, almeno fino al Medioevo.
L’erotizzazione del loro corpo avviene circa nell’VIII secolo grazie al pio abate Adelmo di Malmesbury, che stigmatizza le loro suadenti fattezze prima ancora che la loro irresistibile voce, proprio quella che aveva quasi fatto impazzire Odisseo e compagni. Più complicato, invece, risalire alle cause della loro metamorfosi – unica nella mitopoiesi mondiale – da donne-uccello a donne-pesce: Moro avanza l’ipotesi della discendenza orientale, dalla dea Siria protettrice dell’antica città di Hierapolis (vicina all’attuale Aleppo). Il culto di quella divinità caudata e squamata è poi giunto in Occidente con Luciano di Samosata nel II secolo d. C., e da quel momento la mostruosa femmina ha iniziato pian piano a ibridarsi con le creature marine, non più aeree.
Anche Siria conferma la natura distaccata, quasi frigida, delle seduttrici del mare, emblema di “un femminile improduttivo sul piano matrimoniale per patrocinare quello comunitario”: zitelle e sterili, sì, ma patrone e padrone della città, come la dea siriana, come Pallade Atena e come Partenope, fondatrice di Napoli. La loro distanza non è solo emotiva, ma anche fisica; da qui la seduzione della voce, la potenza del canto, ancestrale quanto remoto: “È per questo che le sirene seducono, per ciò che brilla nella lontananza delle loro parole”, scriverà molti secoli dopo Michel Foucault, mentre la Scuola di Francoforte stresserà – in negativo – il logos dell’eroe omerico che soffoca il pathos delle seduttrici alate e/o caudate.
Ricca e articolata è anche l’odissea dell’autrice lungo i secoli e le latitudini: il suo excursus è storico, ma anche filosofico e letterario, con suggestioni dal Silenzio delle sirene di Kafka, dalla Lighea di Tomasi di Lampedusa e da La pelle di Malaparte con la sua gustosa “Sirena alla maionese con contorno di coralli… servita in tutte le salse” nella Napoli post Quattro giornate del 1943. Imprescindibile, poi, il riferimento alla Sirenetta compita e borghese di Andersen e del suo restyling made in Disney, che l’ha resa paladina del “rispetto delle diversità culturali, di genere e di pensiero”, fino alle attuali fiction televisive, all’imminente live-action, ai freak del circo Barnum e alle fake news sui mostri marini contemporanei.
Solo un’altra donna ha saputo tener testa – per seduzione e ambizione – al mito della Sirena nella storia: Eva, l’altra cacciatrice di conoscenza, assetata e affamata al punto da spingere Adamo sulla via della perdizione. Laddove il pesce (o l’uccello) fallì, riuscì il serpente.