il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2019
Ne uccide più la droga (legale) del Vietnam
Il sigillo finale sulla liberalizzazione delle droghe pesanti è stato apposto negli Stati Uniti lungo gli ultimi vent’anni. E quasi nessuno se n’è accorto, un po’ per malafede ideologica e un po’ perché le cose più difficili da vedere sono quelle che si trovano sotto gli occhi di tutti. Che cosa è accaduto di tanto epocale negli Usa?
È successo che l’industria farmaceutica, con la complicità dei medici, dei regolatori governativi e di un Congresso tra i più corrotti dell’Occidente, ha messo in pratica alla lettera, una per una, le principali proposte dei liberalizzatori: la produzione e distribuzione legale di droghe ad alta capacità assuefattiva sotto controllo medico, a prezzi ragionevoli, in risposta a una domanda prima soddisfatta da produttori e venditori criminali. La legislazione vigente, fortemente proibitiva, è stata bypassata d’un colpo etichettando come antidolorifici prodotti oppiacei simili alla morfina e all’eroina. Ma con la fondamentale differenza di una potenza fino a 50-100 volte superiore a quella dell’eroina. Oxycodon e soprattutto Fentanyl stanno all’eroina come questa sta alla birra. Una dozzina di imprese – tra cui colossi multinazionali come Johnson&Johnson, che si rifornisce di oppio dal circuito lecito della produzione di papavero, quello supervisionato dall’Onu – hanno ammassato grandi fortune tramite una serie di aggressive campagne di marketing presso cliniche e medici, nonché corruzione hard e soft presso parlamentari e dirigenti della Federal Drug Administration, l’agenzia che rilascia le licenze di vendita dei farmaci. Campagne e soldi finalizzati a negare o minimizzare l’aspetto assuefattivo ed esaltare l’effetto antidolorifico delle loro micidiali pillole neoliberal. I medici americani hanno inondato i pazienti di prescrizioni fasulle e ridondanti, facendo impennare le vendite degli oppiacei più potenti. E hanno dato impulso, come beffardo effetto collaterale, al vecchio mercato illecito che si trovava in crisi proprio per carenza di domanda. Il risultato di questo capolavoro del capitalismo neoliberale ha oltrepassato le più fosche previsioni dei cosiddetti “proibizionisti”. La domanda di droghe pesanti – legali e illegali – non è semplicemente aumentata, ma è esplosa negli Stati Uniti del nuovo secolo portando il numero dei consumatori regolari da meno di uno a svariati milioni, con l’inevitabile corredo di morti per overdose.
Queste hanno raggiunto oggi la cifra di 70 mila all’anno, e di quasi 500 mila negli ultimi due decenni. Questa tragedia americana miete in un anno molte più vittime di quelle (44 mila) della guerra del Vietnam, durata 14 anni, ed è diventata la prima causa di morte per gli americani sotto i 50 anni di età. Coniugata alla crescita parallela dei suicidi e dell’alcolismo, essa contribuisce pesantemente alla diminuzione delle aspettative di vita del- l’intera popolazione Usa che si verifica da quattro anni a questa parte. Aspettative che aumentano, com’è noto, in quasi tutto il resto del mondo. Qualche lettore a questo punto si sentirà un po’ preso di sorpresa perché privo di informazioni sul tema. Ma può consolarsi col fatto che solo di recente i media americani hanno iniziato a occuparsi dell’epidemia di oppiacei, attirati da qualche morte eccellente di overdose e dalle cifre dei risarcimenti che i tribunali hanno iniziato a infliggere ai campioni di Big Pharma. I quali pagano le multe senza battere quasi ciglio, tanto grandi sono i profitti accumulati e tanto certa è l’indifferenza di governo e Congresso per una tabe che colpisce in prevalenza le classi medio-basse, i reduci di guerra, i poveri e i declassati.
Si tratta, evvero, della maggioranza della popolazione. E si tratta senza dubbio della minaccia n. 1 all’integrità fisica e mentale dei cittadini americani. Ma in una plutocrazia spietata, governata dall’uno per cento di super-ricchi schiavi del culto fanatico del mercato, sono solo i pericoli inventati o gonfiati, e quelli che consentono di fare soldi, che tengono banco nei media e dettano l’agenda dello Stato. Non illudetevi perciò di veder nascere alcun piano speciale antidroga del governo, né di assistere ad alcun tentativo credibile di proibire, controllare o reindirizzare l’industria delle droghe legali. Il dibattito pubblico non si cura delle sue vittime, e i suoi interessi sono troppo vicini al cuore di pietra del capitalismo americano.