il Fatto Quotidiano, 13 settembre 2019
I lavoratori indiani e il parmigiano
“In quelle stalle, rispetto alla tutela dei lavoratori, devo dire che le condizioni mi sono parse ottime”. È colpito dalla tragedia Roberto San Pietro, 64 anni, regista della scuola di Ermanno Olmi, del Laboratorio Ipotesi cinema fondato dal padre del documentario d’autore a Bassano del Grappa nel 1982. San Pietro è stato recentemente dietro la macchina da presa per girare il film Il vegetariano, prodotto dalla bolognese Apapaja, uscito lo scorso marzo e ancora in giro nelle sale dei cinema d’essai. Il film narra proprio storie tra stalle, animali e duro lavoro quotidiano della comunità sikh. “Penso davvero che quella di Arena Po sia una terribile quanto atroce tragedia”.
Ha girato questo film nella terra del Parmigiano Reggiano, dove vivono quasi quattromila sikh proveniente dal Punjab. Che cosa le ha lasciato l’esperienza con questa comunità?
Sono molto dediti al loro lavoro, anche portati per quel tipo di attività perché per generazioni l’hanno svolta nel loro Paese, diventando dei veri professionisti del settore; in tutte le fasi della produzione in un’azienda zootecnica, perché ci sono anche quelli che riescono a rilevare l’attività e a diventarne padroni.
Sono comunità molto integrate nel cuore della Pianura Padana.
Esatto, noi abbiamo girato in provincia di Reggio nell’Emilia. Ho visitato un grande tempio sikh, c’è una pluralità religiosa riconosciuta anche dagli italiani, sono frequenti le feste multireligiose.
Rispetto alle vittime di ieri, un’espressione ricorrente di chi li conosceva è stata “erano dei gran lavoratori”.
Non fatico a crederlo. C’è da dire, per quella che è stata la mia esperienza, che fortunatamente hanno raggiunto buoni livelli salariali. Non sono affatto sottopagati. Ma il lavoro, in cui sono bravissimi, è davvero molto faticoso. Le mucche vanno munte senza sosta, hanno libera solo la domenica, pochissime ferie. Gli italiani questo tipo di vita non la vogliono più fare da tempo, quindi l’apporto della comunità sikh in Emilia e nell’Oltrepo Pavese è fondamentale. Intere attività si fermerebbero.
Non è una immigrazione per fame e disperazione…
Al contrario, sono professionisti del settore, ribadiscono, che hanno lasciato il Punjab per guadagnare di più, per migliorare la condizione sociale, non certo per disperazione.
Certo, molti conserveranno comunque il sogno di ritornare in patria per star meglio di come stavano in partenza. Di sicuro anche per la comunità sikh le cose cambiano al Sud d’Italia, però.
Là siamo in presenza delle raccolte stagionali nei campi ed è davvero tutta un’altra storia. Invece nella Pianura Padana siamo già alla seconda generazione di relativo benessere. Ad esempio, molti sono i più anziani che anche nei contratti si sono fatti scrivere di non voler aver nulla a che fare con il ciclo produttivo quando si arriva al macello, quando le mucche insomma non sono più produttive. Perché la vacca in India è sacra, muore di vecchiaia. L’attore protagonista del mio film, 30 anni, mangia le bistecche.