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 2019  settembre 13 Venerdì calendario

Intervista a Tadashi Yanai, il fondatore di Uniqlo

Con l’inaugurazione di oggi nel centro di Milano del primo negozio Uniqlo in Italia, Tadashi Yanai – l’uomo che ha trasformato nel terzo retailer globale di abbigliamento la piccola sartoria del padre nella remota cittadina di Ube (mille km da Tokyo) – realizza il tassello a lungo desiderato di una strategia di espansione internazionale finalizzata a conseguire il primato mondiale. Ceo della holding Fast Retailing (il titolo più pesante nell’indice Nikkei 225), Yanai, 70 anni, è, secondo Forbes, l’uomo più ricco del Giappone, con un patrimonio di 24,9 miliardi di dollari.
Le vetrate del nuovo store di Piazza Cordusio si affacciano sul monumento a Giuseppe Parini: l’austero critico di giovin signori sfaccendati e orgogliosi dei loro privilegi approverebbe in cuor suo la vicinanza all’ultimo investimento di chi ha costruito il suo impero mettendo alla portata delle tasche di tutti e per la quotidianità il cashmere e i risultati delle più avanzate ricerche sulle fibre tessili.
«Da molti anni desideravo sbarcare in una delle capitali mondiali della moda: ci abbiamo messo più tempo del previsto perché per noi è fondamentale trovare la location, l’edificio e il contesto giusto – afferma Yanai –. Altri negozi in Italia? Mi piacerebbe averne anche 100, ma non è facile replicare il contesto perfetto che abbiamo trovato qui». L’ingresso nel decimo Paese europeo sottolinea l’importanza attribuita al mercato continentale, tanto più che le attività negli Usa faticano a generare profitti: «C’è più consapevolezza e understanding culturale in Europa per la nostra offerta», osserva il ceo, che non esclude future collaborazioni con designer italiani «tra chi comprenda bene i valori del nostro brand».
La priorità all’estero(il Giappone è ormai statico nei volumi) resta l’Asia, ma la sfida è già stata portata in casa di H&M (a Stoccolma un anno fa) e del leader Zara (il 17 ottobre sbarco a Madrid, dopo Barcellona). «Quando diventeremo primi? Lo sa Dio…», si schermisce. L’obiettivo di ricavi per 3mila miliardi di yen è stato informalmente spostato in avanti nel tempo. Anche perché Yanai – a differenza del frenetico Masayoshi Son di Softbank, l’uomo con cui da anni si alterna nel primato di ricchezza – conferma di essere allergico a grandi acquisizioni «troppo spesso difficili da trasformare in successi». «Son è atipico: ormai un investitore più che un businessman», dice dell’amico nella cui Softbank siede come membro esterno del board. Proprio ieri, da Tokyo, Son pare avergli giocato un brutto scherzo, che deve aver gettato un’ombra sulla sua giornata milanese: Yahoo Japan (controllata di Softbank) rileva per 3,36 miliardi di euro la maggioranza di Zozo, l’aggressivo retailer online lanciato da Yusaku Maezawa.
Softbank concorrente di Uniqlo? «Potrebbe anche essere. Del resto, ci sono sempre meno barriere tra differenti settori», ammette Yanai, che aggiunge, forse mentendo: «Ho telefonato poco fa a Son. Per parlargli della prossima partita di golf». Il 42 enne Maezawa non gli va a genio: «È un intrattenitore, non un business leader. Sempre lì a vantarsi di quanti soldi abbia fatto. Dice che vuole divertirsi e essere il primo ad andare sulla luna con Space X ? Che vada!». Yanai conferma di alzarsi ancora tutti i giorni alle 5. «Alzarmi presto e lavorare duro è il mio hobby. Non mi piace Zozo e odio Amazon, che è troppo avida e vuole occupare tutto. Abbiamo invece buoni rapporti con Google, Apple, Alibaba, Tencent». Come Son, ha posticipato il suo pensionamento rispetto a quanto indicato anni fa: «Sarà perché siamo persone che, in fondo, non si ritireranno mai – sorride –. Ma la sfida è far crescere un successore o un team».
Yanai esclude i suoi due figli (pure inseriti in azienda): «Meglio una donna». In pole sembra la top manager Maki Akaida. «Nel prossimo futuro inseriremo nel board anche non giapponesi e donne», rivela. Un suo cruccio sono le tensioni politico-commerciali che portano dazi (Usa-Cina) o boicottaggi (Corea-Giappone): «Hanno un rilevante impatto sul nostro business e ci costringono a valutare una ridefinizione delle supply chain». Uniqlo ha 242 fabbriche in Asia, di cui oltre la metà in Cina: dovrebbe aumentare le produzioni nel sud est asiatico e in India: «Sarebbe bello che prevalesse in tutto il mondo lo spirito della Ue: sempre libertà di movimento per le persone e le merci»