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 2019  settembre 13 Venerdì calendario

L’impresa impossibile di vaccinare un figlio a Roma

Ho capito chi sono i veri no-vax. Sono i sì-vax che ti rendono impossibile vaccinare tuo figlio. Quantomeno a Roma. Dove già la vita è complicata quando sei grande grosso e vaccinato, figuriamoci da appena nato.
Il pediatra di mio figlio non ha dubbi: i vaccini vanno fatti, per il bene di tutti. E allora mi metto in cerca del centro più vicino.
Sul web ce ne sono diversi, ma al telefono nessuno risponde. Ci vado direttamente. Esco di casa alle otto e intorno alle dieci trovo parcheggio. Facendo lo slalom con la carrozzina tra crateri, macchine e cacche di cane, mi metto in fila, sperando che me lo facciano il giorno stesso.
«No, signora qui i vaccini non si fanno». «Ma sul web c’è scritto centro vaccini». «Qui può prendere appuntamento. Per la sede in Prati la prima disponibilità è a gennaio». «Come gennaio? Nel calendario c’è scritto che va fatto entro il sesto mese e a gennaio mi compie un anno». «E’ fortunata, nella sede di Labaro si è liberato un posto tra due settimane». «E allora, anche se fuori Roma, Labaro sia». 
Ma la notte prima dell’appuntamento mio figlio piange senza sosta e la passiamo in bianco. Alle sette, stremata, mando un messaggio al pediatra. «Stamattina avremmo il vaccino, ma non mi sembra che stia tanto bene». «Sposti l’appuntamento e me lo porti».
Sul foglio che mi hanno dato c’è un numero da chiamare. Altra mezz’ora al telefono. «Pronto?» «Salve, dovrei spostare un appuntamento». «A questo numero non prendiamo appuntamenti per i vaccini». «Ah sì? Ma sul foglio che mi avete dato…». «Non per quanto riguarda i vaccini». «Allora chi devo chiamare?». «Lo stesso numero che ha fatto per prendere appuntamento». «L’ho preso direttamente in una delle vostre sedi». «Bene, allora ci ritorni». Mentre attacco, cercando di non imprecare, ripercorro con la mente il tempo speso due settimane prima: il traffico, il parcheggio, i crateri, le cacche di cane… Pietà. Chiedo aiuto al pediatra. «Me lo può fare direttamente lei?». «Glielo farei anche, ma è diventato quasi impossibile ordinarlo». «E quindi?». «Il bambino sta bene. Provi ad andare domani a Labaro, spieghi che aveva appuntamento e veda cosa le dicono». Scaccio dalla mente l’idea delle due ore che perderò nel traffico e sposto l’impegno di lavoro delle dieci. 
Mi presento all’orario di apertura e già ci sono una quindicina di pupi che aspettano. Mi avvicino allo sportello e spiego la situazione. «Il prossimo appuntamento è a maggio», mi sento rispondere. «Come a maggio? Io sono in già in ritardo». «Faccia una cosa, bussi alla porta e parli direttamente con il dottore».
Bene. Apre la porta un medico che ha la faccia più stanca della mia. Prende il foglio che tengo in mano come se pesasse un quintale e rientra nello studio lasciandomi intravedere un lumicino nel buio. Subito dopo però si riaffaccia spazientito: «Prenda un numero e si metta in fila». Mi guardo intorno e vedo che i bambini nel frattempo si sono moltiplicati, penso all’appuntamento dell’ora di pranzo e domando: «Quanto crede che ci sarà da aspettare?». Il medico scoppia a ridere: «E io che ne so? Anche tutto il giorno». A quel punto scoppio a ridere anche io. Ma solo per non piangere. Penso alla noia di chi vive in quei paesi organizzatissimi, dove non esistono code e gli appuntamenti vengono presi con una mail, guardo il medico che si rimette al lavoro con la sua siringa e penso che qui in Italia i veri no vax sono quelli come lui. Fanno parte di un sistema che ti dice sì cosa devi fare, ma che poi, una volta che ti ha convinto, ti impedisce di farlo.