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 2019  settembre 12 Giovedì calendario

Perché Hong Kong vuole comprare la Borsa di Londra

Hong Kong e Londra. Un’eventuale liason che, seppure la Borsa asiatica già dal 2012 possieda il London Metal Exchange, apre prospettive finora impensate. Scanari che, con le lenti della geopolitica, possono trovare una loro più chiara interpretazione.
Tra gli obiettivi «della mossa del listino di Hong Kong – spiega Alessandro Aresu, direttore scientifico della Scuola di Politiche – c’è certamente quello di mantenere, da parte dell’ex colonia britannica, lo status di potenza finanziaria». «La Cina -fa da eco Alessia Amighini, codirettore del programma Asia dell’Ispi – va effettuando la diversificazione dei suoi hub finanziari», potenziando Shenzen e Shangai. Un contesto, seppure di lungo periodo, dove la centralità del listino di Hong Kong è destinata a diminuire. A fronte di un simile scenario ben può capirsi la mossa di quest’ultimo. Il quale peraltro, «proprio per fronteggiare il rischio di essere spinto sullo sfondo del palcoscenico, potrebbe essersi addirittura mosso non in totale sintonia con il Governo centrale».
Ma non è solamente una questione di Hong Kong. È rilevante lo stesso ruolo della City londinese. «La situazione va mutando» ricorda Amighini. Vale a dire? «Londra, con riferimento ai capitali in arrivo dal Far East, è sempre stata la testa di ponte per investire in Europa». Nell’eventualità sempre più concreta che la Gran Bretagna lasci l’Ue, questo particolare appeal della capitale inglese viene meno. «Quindi il potere attrattivo di un’asse britannico/cinese – afferma Aresu – aumenta».
Di là dalle caratteristiche contingenti delle due piazze finanziarie è tuttavia importante sottolineare che la Cina sta tentando di aumentare la sua influenza sul mondo Occidentale.
Le vie della Seta (terrestri, marine e digitali) «mirano – riprende Amighini – ad aumentare il peso di Pechino nel mondo, sia sul piano economico che su quello politico-militare». Benché venga ufficialmente presentata come un progetto infrastrutturale, le vie della Seta «hanno un legame con l’Esercito Popolare di Liberazione e il suo braccio navale». In tal senso, la costruzione nell’aprile 2016 della prima base navale d’oltremare a Doraleh, un’estensione del porto di Gibuti, «fornisce alla Cina accesso a vie marittime distanti dal territorio cinese che hanno permesso alla sua marina di stabilire una presenza nel Mar Rosso, avvicinandosi così anche al Mar Mediterraneo». È chiaro che la mossa del listino di Hong Kong bene può inserirsi in questo contesto d’estensione della propria sfera d’influenza: riuscire a controllare chi gestisce l’operatività dei mercati finanziari è una condizione che attribuisce un notevole potere. 

Già, il potere. Rispetto ad esso risulta essenziale anche il fronte tecnologico. «Le società di gestione dei listini europei – afferma Anna Kunkl, parner di Be Consulting – sono all’avanguardia sul fronte dell’innovazione e dell’efficienza riguardo alla micro struttura dei mercati. Le Borse del Far East, come quella di Hong Kong, hanno tutto l’interesse a realizzare operazioni che le consentano di mettersi alla pari rispetto ai nostri standard tecnologici». Ciò detto, l’operazione andrà in porto? Nessuno ha la sfera di cristallo. «Washington, però – sottolinea Aresu -, certamente non guarda con favore una simile opzione. Gli Usa, ad esempio, hanno fortemente criticato già nel 2015 l’ingresso di Londra nell’Asian Infrastructure investment bank voluta da Pechino. A maggiore ragione è molto probabile che tenteranno di contrastare l’operazione comunicata ieri». Insomma: altra carne sul “fuoco” della nuova guerra fredda tra Stati Uniti e Cina.