il Fatto Quotidiano, 12 settembre 2019
Il vino ha salvato la specie umana
“Due bicchieri al giorno fanno bene al proprio microbiota. È vero che il consumo di alcol riduce la durata della vita, ma nei termini dei 70 anni. Nel mondo antico, quando si moriva di infezioni a 30 anni, l’alcol diventava una bevanda rivoluzionaria”. Non è un invito a ubriacarsi, quello che fa Duccio Cavalieri, uno dei principali esperti nello studio della correlazione tra una dieta “globalizzata” e l’aumento delle malattie autoimmuni. Il professore sarà protagonista sabato al Festival della Comunicazione di Camogli, in un incontro con Guido Barbujani e Lorenzo Nigro dal titolo “Origine della civiltà urbana, sardi nuragici ed etruschi e il ruolo dell’alcol nella nostra storia”.
Professore, ci sta dicendo che l’alcol fa bene?
Parliamo non solo dell’alcol, ma delle bevande fermentate e del microrganismo che le produce. È un processo che accompagna l’evoluzione della società. Quando l’uomo è passato dall’essere cacciatore-raccoglitore all’essere agricoltore, si è trovato davanti a un problema nuovo: producendo molto più del fabbisogno giornaliero, come poter conservare alimenti come l’uva, le mele, il grano o l’orzo? Fu allora che si scoprì che alcuni prodotti, quando vanno a male in modo incontrollato, accumulano tossine; se invece marciscono in maniera controllata, diventano una forma di stoccaggio di qualcosa che altrimenti andrebbe perso. Nascono così le fermentazioni.
Quali, per esempio?
Il lievito fermenta gli zuccheri a vino e produce etanolo, acido acetico e altre sostanze volatili. È un sistema per utilizzare il potenziale energetico dell’uva che, attraverso una comunità microbica molto semplificata, viene trasferito all’etanolo. Questo consente di conservare un alimento per anni.
Ma l’uomo come fece a distinguere una fermentazione benefica da una pericolosa?
Le faccio un esempio. Il botulino – un batterio che può rivelarsi fatale – produce aromi di un’acidità pungente. Il vino dei greci o dei romani tende all’aceto, ma se è fermentato a lungo ha una composizione di aromi volatili che lo differenzia dagli altri. È lo stesso principio per cui ci si chiede oggi se “è un buon vino” annusandolo.
Se ho capito bene, il principio di tutto è il lievito?
Fermentando, il lievito produce etanolo, acido acetico – che uccide i batteri – e aromi che attraggono gli insetti, non l’uomo. A lungo ci si è chiesti dove si trovasse il lievito: nell’intestino di vespe e calabroni. Sono loro che lo trattengono durante l’inverno e lo riportano sulle piante d’estate.
E perché lo farebbero?
Per difendersi dalle infezioni: il lievito attiva le difese immunitarie e uccide i batteri per competere con lo zucchero.
Se fa bene agli insetti, fa bene anche a noi.
Le civiltà ellenistiche e poi i Romani utilizzavano il processo di fermentazione per rendere potabili l’acqua e le bevande. Non ci sono prove scientifiche di quest’affermazione, ma c’è un dato: le legioni romane portavano nei territori di conquista otri di vino e semi di vite, non acqua. Lo facevano perché erano ubriaconi? No. Sapevano che le pozze erano pericolose e diluivano al loro interno il vino per purificarle. Quando mettono Gesù sulla croce hanno una spugna bagnata di aceto che uccide i batteri nelle ferite, per far sì che non diventino purulente.
Lei studia la relazione tra la nostra dieta e le malattie autoimmuni. C’entra il vino, o meglio, il lievito?
Nei primi due anni di vita il bambino passa da una dieta lattea a una solida ed entra in contatto con i microrganismi. Un tempo erano quelli delle fermentazioni: si ricorda che le civiltà contadine davano un goccetto di vino ai bambini? Negli ultimi 50 anni, per globalizzare la dieta, abbiamo tolto i microrganismi dagli alimenti fermentati. Così capita che ne entriamo in contatto solo da adulti, quando il lievito scatena una reattività insolita. E fa male.