Corriere della Sera, 12 settembre 2019
La nipote di Bin Laden fa beneficenza nuotando
È stata una foto a spingerla a affrontare imprese estreme: traversare a nuoto lo stretto dei Dardanelli, il canale di Dubai, il Tamigi (prima donna nel mondo), la Manica. Grazie a cui raccoglie fondi che le hanno permesso di aprire un ospedale all’interno di un campo profughi in Giordania. «La foto di Aylan, il bambino siriano annegato nel settembre 2015 sulla spiaggia di Bodrum mi ha straziato il cuore. Mi sono domandata cosa potevo fare. Sono una dentista, ho deciso di fare la mia parte», spiega al Corriere Mariam Saleh bin Laden. In un modo ardito e spettacolare, nuotando per ore in condizioni impossibili, come raccontato il documentario di Vito Robbiani I am Mariam in programma oggi al festival «Visioni dal mondo» a Milano, dove la giovane saudita incontrerà il pubblico.
Non è un cognome che può passare inosservato il suo. «Osama bin Laden è un fratellastro di mio padre, uno dei miei 52 zii, non l’ho mai conosciuto», precisa. «Ma vado fiera del mio cognome, non lo cambierei mai. Mio nonno ha lavorato duro nel campo delle costruzioni, una delle compagnie più importanti del mondo, era un filantropo. Da lui ho imparato a impegnarmi in quel che faccio e a restituire la fortuna attraverso azioni solidali e umanitarie».
La passione per lo sport, invece, arriva dritta dalla madre. «Fin da piccola ci ha spinto a fare nuoto, tennis, equitazione, a non credere che essere donna mi limitasse. Lei mi ha raccontato di Abdellatief Abouheif, il primo arabo che traversò la Manica. Fallo anche tu, mi diceva. “Niente è impossibile se ti alleni bene e credi di poterlo fare”. Mi è sempre rimasto in mente. Ma serviva l’allenatore giusto».
Ovvero Fiona Southwell, solida esperienza nel campo del nuoto di fondo. «Tra noi si è creato un legame forte, una fiducia speciale. Quando l’ho contattata per chiederle se poteva allenarmi, mi ha chiesto prima di testare la mia tenuta mentale. Solo dopo ha accettato».
La prima impresa è stata Hellespont Open Water Competition lungo i Dardanelli, prima donna saudita a coprire la distanza tra Europa e Asia. La più impegnativa quella lungo il Tamigi: dieci giorni consecutivi per otto ore al giorno. «Ma ogni esperienza in acque libere è una cosa a sé. Non hai il controllo su nulla: condizioni atmosferiche, imprevisti, correnti, eventuali incontri con animali. Una volta, durante un allenamento, ho visto sotto di me un sagoma enorme. Temevo fosse uno squalo, invece erano due delfini che sono usciti dall’acqua accanto a me. Ogni volta è diverso: sui Dardanelli la corrente era così forte da trascinarmi via, a Dubai faceva così caldo che mi hanno dovuto mettere cubetti di ghiaccio nella muta, sulla Manica le meduse mi hanno attaccato».
Prossima tappa? «Mi sto allenando per una nuova impresa, entro l’anno. Non posso ancora parlarne. Cercare nuovi percorsi da fare a nuoto è la mia vita. Attraverso questo riesco a attirare l’attenzione sulle sofferenze dei profughi come quelli del campo di Azraq, in maggioranza bambini, molti orfani, e donne. Offriamo cure mediche gratuite. Il mio sogno sarebbe di aprire altri centri e aiutare bambini indipendentemente dalla loro etnia o religione».