Il Messaggero, 12 settembre 2019
Il caso di Tariq Ramadan
Tariq Ramadan, chi è costui? Il professore di Oxford, teologo arabo, pensatore di una nuova cittadinanza musulmana e occidentale? Uno stupratore, che di giorno predicava la bellezza dell’hijab e di notte violentava nelle camere d’albergo? L’antisemita, che definì comunitari Finkielkrault, Glucksmann, Bernard-Henri Levy? L’abile dissimulatore, moderato con gli europei, integralista con gli islamici? Vittima «come Dreyfus di una Francia che ha torto», come dice lui? O l’uomo dalla doppia vita, tragico esempio delle contraddizioni del potere, come scrive la giornalista Bernadette Sauvaget, autrice di un libro inchiesta che uscirà la settimana prossima? Il caso Ramadan, continua a spaccare la Francia, un anno e mezzo dopo il suo arresto per stupro. Sono ormai cinque le donne che lo accusano, quattro in Francia, una in Svizzera. Da novembre, dopo dieci mesi di detenzione provvisoria, è di nuovo in libertà condizionata, lo scrittore-intellettuale-filosofo, nipote del fondatore dei Fratelli Musulmani, ha pagato 300mila euro di cauzione, non può lasciare il territorio francese e aspetta il processo.
IL TRIO
Ma lui ha ricominciato a dire la sua. Ieri (11 settembre, data non neutra) è uscito il suo libro, Devoir de verité per le Presses du Chatelet. Una delle donne che lo accusano di averla violentata ha cercato fino all’ultimo di impedirne l’uscita: lui la cita col suo vero nome, lei ha sempre chiesto di restare anonima e si è sempre nascosta dietro un falso Christelle. Per i giudici sarebbe stato «un pregiudizio eccessivo e sproporzionato alla libertà d’espressione». Per Ramadan in silenzio da novembre – è l’occasione di difendersi, e di farlo là dove gli riesce meglio, sui media, in particolare in quella tv che in passato esaltava le sue doti di parlatore pacato, la figura elegante, i modi borghesi. Nonostante il titolo, in Dovere di veritàRamadan non si sofferma troppo a dire una qualche nuova verità sulle accuse che lo travolgono, ma si impegna ad attaccare il trio che a suo dire lo martirizza: le accusatrici bugiarde, i giudici e i media. Se chiede scusa, è alla sua famiglia, in particolare alla moglie, e a Dio, perché lo scorso novembre, dopo aver strenuamente negato, aveva finito per ammettere che sì, aveva avuto relazioni sessuali con le donne che lo accusavano, ma che non c’era stata nessuna violenza e che loro erano del tutto consenzienti. Ai fedeli e alle fedeli cui per anni ha predicato l’importanza della modestia, la purezza, la nobiltà dell’aderire liberamente ai principi religiosi, oggi ricorda che «sono trent’anni che ripeto che non bisogna confondere la mia persona con quello che dico e con le mie riflessioni». Per il resto, derubrica tutto, comprese le quasi 800 foto porno ritrovate nel suo pc, a «relazioni extraconiugali» e a cose «della mia vita privata e intima che non riguardano che me, la mia coscienza davanti a Dio, la mia famiglia, i miei cari». Per chi lo conosce, Ramadan cerca soprattutto di recuperare credito presso i suoi. Ormai restano in pochi. Se le università dove insegnava o pretendeva di insegnare come Oxford o Friburgo lo hanno licenziato quando sono venute fuori le accuse, ieri la federazione Musulmani di Francia si è detta «tradita dal comportamento, in totale contraddizione con i principi che ci si aspettano da uomo che predica l’Islam».
Fuori, le donne che lo accusano confermano tutto. Henda Ayari conferma di essere stata stuprata «con una violenza indicibile» nella primavera del 2012. Degli sms rivelano però che tra i due esisteva una relazione, lei continua a dire di essere stata sotto la sua influenza, lui di aver avuto un rapporto sadomaso del tutto consenziente. Poi c’è Christelle, che lo accusa di averla violentata il 9 ottobre 2009 all’Hotel Hilton di Lione. Ma lui l’avrebbe sposata qualche tempo prima via Skype. Poi «Mounia Rabbouj, ex escort: lo accusa di averla violentata nove volte tra il 2013 e il 2014. E una cinquantenne, ex giornalista radio: lo accusa di stupro di gruppo il 23 maggio 2014. Ramadan dice di non conoscerla. Infine una donna di Ginevra: anche lei violentata. Il procuratore svizzero dovrebbe venire a Parigi quest’autunno. «Sono donne gelose, che si sono sentite ingannate, e hanno cercato a posteriori di regolare i conti» scrive Ramadan. I giudici? Mostrano «un’ostilità profonda e palese». Per non parlare dei media: «avvoltoi» che «vogliono che sia colpevole».
Nel libro parla soltanto delle prime tre denunce e soprattutto soprassiede sulle numerose testimonianze di donne raccolte quest’anno: tutte parlano di un uomo violento, capace di approfittare senza scrupoli del suo potere spirituale e intellettuale. Ramadan preferisce concentrarsi su altro e paragonarsi addirittura a Dreyfus, il capitano ebreo ingiustamente accusato di tradimento alla fine dell’Ottocento, vittima di una violenta campagna antisemita e difeso da Emile Zola. «Nessuno può ignorare il razzismo antimusulmano che si è radicato nel Paese, nutrito da politici e giornalisti» scrive: «se la Francia non partorisce più dei Zola, riproduce dei Dreyfus, ieri ebrei, oggi musulmani». Domani proverà a riprendere il suo lavoro: una conferenza online. Tema: «una riflessione sul cammino spirituale attraverso le prove».