RivistaStudio, 11 settembre 2019
Ecco perché internet è deventato uno schifo
Quando Jia Tolentino viene assunta dal New Yorker come staff writer ha 27 anni. Nel 2017, un anno dopo, Forbes la include nella lista dei “30 under 30”. Il 6 agosto negli Stati Uniti è uscito il suo primo libro, Trick Mirror: Reflections on Self-Delusion, una raccolta di saggi che parla di internet, social, religione, MDMA, femminismo, scammer, reality, letteratura e molto altro. Districarsi tra le decine e decine di recensioni pubblicate sulle maggiori testate in lingua inglese è quasi impossibile: l’entusiasmo per il libro si è diffuso come una malattia contagiosa.
I 9 saggi inediti raccolti in Trick Mirror sono accomunati dal concetto vago ma efficace di “specchio deformante”, illusione e autoinganno, e tentano di analizzare le ambivalenze, le contraddizioni e le falsità nella nostra percezione di noi stessi, dell’altro e della realtà che ci circonda. Uno dei capitoli più belli, ad esempio, parla del trend dell’athleisure e dell’ossessione delle donne di successo (ma anche e soprattutto delle aspiranti donne di successo) per uno stile di vita sano: insalate di lusso da consumare nella pausa pranzo, marchi costosissimi di leggings per fare yoga e corsi di barre che più che rimediare allo stress di una vita incentrata sul lavoro, fungono da ulteriore conferma di uno status symbol. Il migliore, però, è forse il primo saggio, The I in the Internet”, in cui Tolentino si sforza di ripercorrere l’evoluzione di internet e il modo in cui è diventato un incubo.
Dico “si sforza” perché non c’è niente di più difficile, per chi scrive, del descrivere un fenomeno nel quale è immerso. Il talento di Jia Tolentino sta proprio nel saper analizzare il paesaggio nonostante lei stessa ne faccia parte: è una che riesce ad avere un profilo Instagram perfettamente adiacente a quello idealmente richiesto a una “giovane giornalista intelligente e carina e di successo” (il fidanzato di lunga data intelligente e carino e spiritoso, il cane onnipresente, le vacanze in luoghi favolosi, le foto sceme e sorridenti con gli amici, le didascalie autoironiche a una foto in cui è venuta molto bene, ecc.) e al tempo stesso a descrivere le nevrosi che sottendono a questo tipo di manifestazione di sé. Per di più, Tolentino nell’internet ci è cresciuta: nel saggio parla dei suoi primi esperimenti con i blog, poco più che adolescente, nei tempi in cui il web era un mondo entusiasmante, esotico, meraviglioso, un posto creativo che incentivava l’esplorazione e ti aiutava a trovare persone simili a te dall’altra parte del mondo. Oggi restare connessi significa giocare a un gioco perverso di ipocrisia, ignoranza, false battaglie, odio e invidia: nessuno ci obbliga, siamo noi a voler partecipare, ogni giorno. Cosa ha trasformato quell’universo fondato sulle affinità, la curiosità e la fame di conoscenza nel luogo limitante, «inevitabilmente personale e politicamente determinante» in cui ci siamo incastrati?
I colpevoli sono i social: «Nel momento in cui più persone hanno iniziato a documentare con costanza le loro esistenze, quello che era un passatempo si è trasformato in un imperativo: per esistere, devi documentare quello che fai». Gli incentivi sociali – il desiderio di piacere, di essere visti – sono diventati economici: il meccanismo dell’esposizione su internet è diventato un mezzo – all’inzio nuovo, controverso, interessante, oggi praticamente indispensabile – per lo sviluppo di una carriera. Tolentino ne ha per tutti: «Facebook è diventato triviale, estenuante, noioso. Instagram sembrava meglio, ma ha presto rivelato la sua funzione di circolo dove ostentare felicità e popolarità e successo. Twitter, con tutte le sue promesse, è diventato il luogo in cui lamentarsi di tutto, dalle compagnie aeree agli articoli degli altri». Il sogno iniziale, che internet potesse garantire un sé migliore, più vero, è scivolato via. «Se prima eravamo liberi di essere noi stessi soltanto online, oggi siamo incatenati alla nostra presenza online, e ne siamo consapevoli. Piattaforme che promuovevano la connessione sono diventate mezzi di alienazione collettiva. La libertà promessa da internet ha iniziato a sembrare qualcosa il cui maggiore potenziale risiede nell’uso improprio».
Nella vita reale puoi andare in giro ed essere visto dagli altri. Ma su internet non puoi limitarti ad andare in giro: per far sì che ti vedano, devi agire. Per mantenere la tua presenza devi comunicare. E poiché le piattaforme fondamentali sono costruite intorno ai profili personali, è ovvio che il principale obiettivo di questo tipo di comunicazione è dimostrare di essere un profilo interessante, che merita di essere seguito. Questo è il motivo per cui su Instagram tutti cercano di essere sexy e sempre in viaggio, su Facebook sono tutti inorgogliti e trionfanti, su Twitter abbondano le affermazioni virtuose (ad esempio postare un numero di emergenza per la depressione nel giorno del suicidio di un personaggio famoso), che per la maggior parte delle persone valgono tanto quanto una reale e concreta azione politica.
Nella sua intensa, accuratissima analisi di come i social ci hanno rovinato la vita, Tolentino si fa aiutare dalle teorie legate al play-acting del sociologo Erving Goffman nel suo The Presentation of Self in Everyday Life così come da specifici aneddoti legati a dinamiche osservate su Twitter e altri social, dal #MeToo (pagine fondamentali) al modo in cui la magnification, l’esaltazione, è ormai inseparabile dall’engagement, l’impegno, e l’espressione della solidarietà ha a che fare con l’identità e l’autopromozione. «Esprimere un’opinione su internet non è più il primo passo verso qualcosa, è l’unico fine».
La sua critica ai social, molto dura, è soltanto una faccia della medaglia dell’ambivalenza (proprio come col profilo Instagram tutto cani e amici e vacanze e sorrisi): come sottolinea più volte, lei per prima, come scrittrice, ha beneficiato di questa «insana ossessione per l’opinione personale» e della «nuova architettura di internet che pone il sé al centro», assunti su cui, in pratica, si fonda la sua carriera, «completamente costruita online». Siamo in trappola, dice Tolentino, ma invece di continuare a passeggiare serena nella prigione in cui è rinchiusa insieme a noi, si ferma, e inizia a osservarla e descriverla. «Più internet peggiora, più sembriamo bramarlo, e più acquista il potere di manipolare i nostri istinti e desideri». Seguire il suo esempio, e provare a fermarsi e a iniziare a studiare la prigione insieme a lei, è forse l’unico modo per provare a escogitare un piano di evasione.