11 settembre 2019
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Biografia di Nicola Pietrangeli
Nicola Pietrangeli, nato a Tunisi l’11 settembre 1933. Tennista. Vincitore del Roland Garros 1959 e 1960 (sconfitto in finale da Manuel Santana nel 1961 e nel 1964). Capitano della squadra italiana che vinse la coppa Davis nel 1976 • «È considerato il più grande tennista italiano di tutti i tempi, al punto che sette anni fa la Federtennis decise di intitolargli lo stadio Pallacorda, ex campo centrale del Foro Italico; è l’unico monumento o via o edificio dedicato a un campione ancora in vita» (Guido Liberati, Il Secolo d’Italia, 2013) • Per un periodo, conduttore televisivo: ha condotto un’edizione della Domenica Sportiva (1976) e vinto un Telegatto nel 1981 per il programma radiofonico Carta Bianca, con Gianni Brera e Lea Pericoli • «Ha la residenza a Montecarlo, parla perfettamente francese, ma nessuno come lui rappresenta la romanità gaudente e salottiera» (La Gazzetta dello Sport) • «Nicola è l’uomo più pigro e affascinante che abbia conosciuto. Ho scritto io la sua biografia perché era troppo pigro per scriverla lui» • (Lea Pericoli, ex tennista e giornalista, autrice di C’era una volta il tennis. Dolce vita, vittorie e sconfitte di Nicola Pietrangeli, Rizzoli, 2017).
Vita «Nasco a Tunisi da madre russa e padre italiano. Non l’ho mai detto a nessuno, ma avrei potuto farmi chiamare conte. I miei nonni russi erano nobili e poiché mia madre non aveva fratelli maschi trasmise il suo titolo a me. Sarei il conte Nicola Shirinsky Pietrangeli. Quanto al mio nonno paterno era tedesco e aveva la moglie svedese. Insomma, sono un bel bastardo» (Gianni Clerici, Repubblica) • «Il nonno muratore aveva tentato la fortuna all’estero e, come racconta Nicola, “casa dopo casa, palazzo dopo palazzo...”, aveva garantito al figlio Giulio una vita agiata, fra studio e sport, consentendogli di diventare il numero due del tennis tunisino. Nicola gli zampetta a fianco con la racchetta in mano, ma poi c’è la guerra, il padre rinchiuso in campo di concentramento e, nel 1945, l’espulsione dalla Tunisia» (La Gazzetta dello Sport) • La sua prima partita la gioca a 10 anni in un campo di concentramento. «Mio padre ci si trovava insieme con tanti altri italiani, aveva costruito un campo da tennis. Una volta andai a trovarlo e giocammo insieme la finale di un torneo fra prigionieri. Vincemmo, il premio fu un pettine fatto con le schegge di bombe» (Stefano Semeraro, La Stampa, 9/9/2013) • «Passammo la notte di Natale del ‘46 su una nave per Marsiglia, come emigranti. Quando arrivai a Roma avevo tredici anni e diventai molto popolare a Piazza di Spagna. Ero “Er Francia”. Non capivo una parola di italiano, solo russo e francese. Poi il russo l’ho dimenticato, per imparare male l’italiano» (a Clerici) • «A 18 anni potei scegliere se avere il passaporto italiano oppure no, se giocare con la Francia o la Tunisia oppure no. Scelsi di stare qui, e non so se oggi lo rifarei» (ibidem) • «“Ho praticato contemporaneamente il tennis, scimmiottando mio padre, e il calcio fino ai 18 anni. Ero bravo anche con il pallone tra i piedi”. Lei è considerato uno degli inventori del calcio a cinque a Roma. “Accadde nell’inverno 1948-49, al vecchio Circolo Parioli di viale Tiziano. […] Eravamo dieci matti: quando pioveva non potevamo giocare a tennis e allora tiravamo fuori il pallone. Là vicino c’era la Rondinella, il campo di allenamento della Lazio, e una volta organizzammo una partita cinque contro cinque dietro la porta da calcio. Facevamo le porte con le cartelle e le sedie”. I vecchi soci del Parioli vi guardavano male… “Sì, perché iniziammo a giocare […] sul campo centrale di tennis di quel circolo che all’epoca era probabilmente il più snob d’Italia. Qualcuno ci consigliò di evitare di ‘infangare’ il centrale e così ci adibirono un altro campetto da tennis per farci giocare a pallone: nacque così il calcetto”. È vero che ha militato nelle giovanili della Lazio? “Ci ho giocato per tre anni, ero centravanti. Poi non ho voluto più continuare con il calcio perché la Lazio mi voleva dare in prestito, ma non avrei preso soldi. Scelsi definitivamente la racchetta: anche qui non c’erano soldi, ma perlomeno mi dava la prospettiva di poter viaggiare. È così che mi sono lanciato nel tennis… per mia fortuna”» (intervista di Adriano Stabile, il Posticipo, 2017) • «“Mio padre quando lasciammo la Tunisia perse tutto e per farci mangiare accettò un posto da becchino al cimitero dei francesi. Grazie ai suoi trascorsi da tennista, René Lacoste si ricordò di lui e gli diede la rappresentanza per vendere le sue maglie in Italia. In un anno ne piazzò una cifra spaventosa, 280mila. Io volevo emularlo, ma lui mi disse: “Nicola non è mestiere per te”. Papà voleva una cosa sola: che giocassi a tennis fino a novant’anni […] Con il tennis ai miei tempi ci si divertiva, venivamo ospitati nei migliori alberghi del mondo, ma la fame era tanta e i soldi pochissimi […] Andavo avanti a panini e coca-cola offerti dall’amico barman Renato dell’Hotel Posta di Cortina» (Massimiliano Castellani, Avvenire, 2013) • Nel 1951 vince il titolo juniores, passa in seconda, poi in prima categoria. Nel 1953 è già tredicesimo nella classifica nazionale. «“Allora il tennis era ancora uno sport d’élite, il pubblico era composto soprattutto da tennisti da circolo, tutti adulti. Sugli spalti, ad esempio, i bambini non c’erano”. E, rispetto al calcio, anche i guadagni erano irrisori: “A Roma ci davano 7 mila lire al giorno come rimborso spese. E quando vinsi il titolo (nel 1957, ndr) portai a casa 30mila lire. Non valevano neanche un mese di affitto, a quei tempi per il mio appartamentino ne pagavo 50mila. Noi non eravamo ricchi come i tennisti di oggi”» (Fulvio Nibali, Tennis.it). Frequenta le bettole di Trastevere con Tiriac, Nastase e Manolo Santana. «Adesso non sarebbe possibile perché se, ad esempio, Federer e Djokovic volessero uscire a cena insieme dovrebbero portarsi dietro dieci persone a testa di staff» (a Panorama) • «Pietrangeli ha saputo realizzare un’ottima sintesi tra vita mondana e risultati. Due le sue affermazioni al Foro Italico (1957 e 1961), proprio all’epoca delle notti passate a Trastevere. Due le sue vittorie anche al Roland Garros (1959 e 1960), in quella Parigi che non è certo seconda a Roma se vuoi uscire la sera e andare a divertirti» (Nibali) • «Nicola era segretamente preoccupato per l’importanza di una vittoria, storicamente insolita, di un secondo Roland Garros, torneo Slam iniziato soltanto nel 1925, ultimo dei Big Four. Passavamo quindi la sera, per distrarci, in un ristorante vicinissimo al famoso night club di Regine, una dama allora famosissima, delle cui amiche eravamo amici. Raccontarono, i giornalisti italiani assenti, che avessimo trascorso la serata ballando sfrenatamente sui tavoli, in preda all’alcool, mentre a mezzanotte salutammo e raggiungemmo le nostre abitazioni. “Da Regine ci andavamo tutte le sere perché se non passavamo portava iella. Ma a mezzanotte a casa, e quanto al resto hai ragione tu: soltanto gossip”» (Clerici) • «Erano i tempi in cui i tennisti si dividevano in due gruppi di appartenenza: i professionisti, in grado di essere remunerati per le loro esibizioni; e i dilettanti, che per diletto avrebbero giocato i tornei tradizionali e in realtà percepivano modesti guadagni in nero dagli organizzatori o dalle Federazioni» (Clerici) • Il dirigente Kramer gli offre 50mila dollari per diventare professionista. «Malgrado fosse una cifra esorbitante per uno che aveva guadagnato al massimo 6 milioni l’anno, Pietrangeli si rese conto che si trattava di una squadra di serie B che non avrebbe mai riempito le tribune e quindi nemmeno le sue tasche, così rifiutò. Kramer rilanciò a 60mila, proponendogli di far parte di un’equipe formata da Hoad, Rosewall, Gonzales. Dopo una lunga e sofferta riflessione, il 24 giugno 1960, a Roma, Pietrangeli annunciò finalmente il suo passaggio al professionismo. “Fino a oggi ho vissuto come un principe e sono grato alla Federazione. Ma è un mondo di fiaba che si dissolverebbe al primo accenno di un mio declino. E allora, quale prospettiva mi resterebbe se non quella di diventare maestro e fare undici ore al giorno sotto il sole per insegnare a ragazzini svogliati e distratti come si tira una palla?”» (Claudio Calza, Il Tennis italiano, 2009) • Con l’offerta di Kramer, ci si potrebbe comprare una Maserati o un appartamento ai Parioli. «Ma, una volta di più, finì per prevalere il cuore di Nic. Durante la cerimonia di apertura dei Giochi [Olimpici di Roma, nel 1960, ndr] Pietrangeli si commosse all’idea di un mondo che, per denaro, stava per svendere. “Mi misi a piangere. Avevo fatto quella scelta, i professionisti li battevo tutti in allenamento, era l’unico modo per guadagnare qualcosa: e mi consideravano un fuorilegge”. E, dopo ore difficili, telefonò a Tony Trabert, che rappresentava Kramer. Stracciò il contratto, e me ne diede notizia che non tardai a comunicare, nella mia cinica professione di autore di scoop. “Oggi i giovani non capirebbero”» (Clerici) • «Secondo i maligni alla rinuncia non fu estranea nemmeno l’idea che, da professionista, avrebbe faticato molto più di quanto non avesse mai fatto» (Calza) • «In totale sono 41 i titoli conquistati tra i professionisti. Importanti anche i risultati in Coppa Davis. Nick detiene tuttora il primato degli incontri disputati e vinti, con 164 presenze (110 in singolare e 54 in doppio) e 120 vittorie (78/42). Nel 1960 e nel 1961 fu punta di diamante della squadra che giunse in finale contro l’Australia, rompendo la tradizione che vedeva sempre canguri e Stati Uniti a contendersi la mitica Insalatiera» (Nibali) • Finisce in una polemica quando è capitano della nazionale alla finale della Coppa Davis, in Cile nel 1976. La sinistra vorrebbe boicottare la partita in segno di protesta contro il regime (l’U.R.S.S. non partecipa). Modugno canta “Non si giocano volée con il boia Pinochet”. «“Non mi sono mai occupato di politica […] ma nel ‘76 ero diventato popolarissimo, o impopolarissimo, in Italia solo perché ogni santo giorno cercavo di convincere tutti ad andare a giocare a Santiago. A me di Pinochet non me ne fregava nulla. Avevo la macchina della polizia sotto casa 24 ore su 24. Sotto le finestre mi urlavano ‘brutto fascista ammazziamo te e la tua famiglia’”. Panatta giocò con la maglietta rossa, in segno di dissenso: come a strizzare gli occhi ai “compagni” italiani. La Rai non mandò in onda la diretta della finale per non urtare la suscettibilità degli antifascisti militanti. “Nonostante la vittoria, al ritorno ci accolsero a insulti: dovemmo scappare come ladri da un’uscita secondaria, roba da pazzi”» (Liberati) • Dopo il ritiro, per qualche anno cura le relazioni esterne della casa automobilistica Lancia e della Intersomer, una società del gruppo Mediobanca. Diventa opinionista sportivo per la radio e la tv. Recita nei film La donna giusta, C’era un castello con 40 cani e appare in una puntata di Distretto di Polizia • Nel 2013, prima di diventare ottuagenario, dice: «Sono un uomo molto fortunato. Quando arrivi a questa età gli anni cominciano a pesare. È antipatico, pensi che il tuo lungo viaggio stia per finire. Ancora cento di questi anni? Me ne basterebbero altri dieci…» (a Liberati).
Vita privata e personalità Considerato uno sciupafemmine: «Il mio doping, come diceva Orlando [Sirola, altro tennista], era “stare sempre appresso alle principesse”...» (a Castellani) • Una ragazza un giorno chiama «Nicola! Nicola!». Si rivolge al proprio cane, ma lui pensa sia un segno del destino, la corteggia e nel 1960 la sposa (è Susanna Artero, madre dei suoi tre figli: Marco, Giorgio, Filippo). «Poi, un bel giorno, tutto finì, come sono finite tante cose nella vita del campione» (Calza) • «Sono stato sposato per quasi vent’anni e ho tradito mia moglie solo quando ero lontano da Roma. Sono stato 7 anni con Licia Colò e non le ho mai fatto le corna. Altro che donnaiolo» (da un’intervista di Mario Gherarducci). Destò molto scalpore il fatto che la Colò avesse 30 anni meno di lui • «Ho fatto sempre la metà della metà di ciò che potevo fare. Del resto, due sono stati i miei principi fondanti: “Lavorerei volentieri... Purtroppo non ne ho il tempo”, l’altro: “Non è importante essere ricchi, ma vivere come se lo si fosse”» (a Castellani) • «Non mi piace parlare di ciò che ho combinato in campo. Se hai fatto qualcosa di buono nella vita, autocelebrarsi trovo sia un segno di debolezza oltre che di senilità precoce» (ibidem).
Giudizi «Difficile immaginarlo senza il suo tipico stile: capelli bianchi, viso abbronzato, occhiali da sole sopra gli occhi azzurri. E anche da tennista è stato portatore sano di italianità, di talento e creatività, prima che di muscoli e mera prestanza fisica» (Repubblica, 2013) • «Giocatore da fondo campo, Nick fu grande curatore dello stile, potente nei passanti e ben centrato col rovescio più che col diritto» (Nibali) • «Nicola fu un regolarista e un incontrista, capace anche di raffinatissimi tocchi al volo» (Gianni Clerici, 500 anni di tennis) • «Pietrangeli non fu mai magro e snello: era ovvio che amasse la pasta. Eppure era veloce, quando serviva, e leggero sui suoi piedi, specialmente sotto rete. Portava in campo una certa allegria mediterranea, l’idea che la vita è divertente. E così si faceva beffe della depressione quando sia il clima sia i maestri del serve and volley erano troppo opprimenti» (Paul Bailey, The Guardian, 2006) • «Poteva scendere in campo nelle peggiori condizioni, impensabili per qualsiasi altro tennista; dopo una notte di bisbocce o una mangiata pantagruelica, ma se, fin dai primi scambi, “sentiva” l’impatto con la palla, non ce n’era per nessuno» (Calza) • «Se ai nostri tempi ci avessero confinato in un’isola per sei mesi, senza campi da tennis, e poi ci avessero fatto disputare un torneo, Nicola ci avrebbe battuti tutti quanti» (Ken Rosewall, considerato uno dei migliori tennisti di sempre).
Curiosità Alto 1 metro e 78. A molti ricorda l’attore Marcello Mastroianni, di cui era amico: «Ci univa il comune senso della pigrizia» • Lea Pericoli non lo voleva come partner di misto perché – dice – era troppo galante con le avversarie • È «laziale ma non antiromanista»: «“Il calcio di oggi però non mi piace: ne fanno di cotte e di crude. I calciatori guadagnano troppo: è vero che hanno una carriera breve, ma alcuni stipendi sono esagerati. E poi fateli giocare con le maniche lunghe”. Perché? “Tutti questi tatuaggi non mi piacciono, sono brutti. Sembra che glieli abbia ordinati il dottore”. I tennisti sono più eleganti. “Credo di sì. Ce ne sono pochi tatuati”» (Stabile) • È ortodosso, come la madre: «Da vigliacco ho sempre cercato Dio nel momento del bisogno. Anche in campo, confesso che l’ho pregato di farmi vincere, ma anche di far commettere un doppio fallo all’avversario...» (a Castellani) • Ha avuto il cancro, ma l’ha superato • Vuole che le sue ceneri siano disperse al Foro Italico di Roma • Dice che la cicatrice sotto il mento gliel’ha procurata una coltellata a Marsiglia, ma in realtà è dovuta a un dentista arabo poco accorto • «Non ho rimorsi. Rimpianti sì, e tanti. Chi non ne ha è un imbecille. Un esempio per tutti: avrei dovuto essere più furbo con i soldi» (a Liberati) • «Mi dicono che se mi fossi allenato di più chissà cosa avrei potuto vincere. La mia risposta è sempre la stessa: avrei vinto di più, però mi sarei divertito di meno...».