Libero, 11 settembre 2019
Con la Brexit si alzano gli stipendi inglesi
In televisione e sui principali siti si legge questo sulla Brexit. Il premier britannico, Boris Johnson, dopo aver incassato nuove batoste a Westminster, insiste: «Lavoremo duramente per ottenere un accordo, penso ce la faremo, ma se assolutamente necessario usciremo senza», ha detto facendo visita a una scuola, dopo che in precedenza ha più volte ribadito che preferirebbe “morire in un fosso” che rinviare il divorzio (sarebbe la terza volta), ora previsto al 31 ottobre. Il conservatore succeduto a Theresa May ha parlato poco prima della sospensione del Parlamento, dove intanto aveva perso la maggioranza a seguito di defezioni ed espulsione di Tory ribelli. Una pausa che durerà per cinque settimane e per cui è stato accusato di essere antidemocratico. Alla vigilia della sospensione, i Tory avevano di nuovo tentato di far approvare alla Camera una mozione per chiedere elezioni anticipate, e come la prima volta avevano incassato una sconfitta. Quindi il voto non potrà tenersi prima di novembre, proprio a causa della sospensione del Parlamento che durerà sino al 14 ottobre, due sole settimane prima della Brexit. Questo dopo altre due débacle: la prima quando i Comuni hanno approvato la legge anti no deal per costringere Johnson a chiedere un nuovo rinvio se un’intesa non sarà siglata prima del vertice Ue del 17-18 ottobre; la seconda nel voto che impone al governo di pubblicare i documenti confidenziali sul potenziale impatto della Brexit.Poi ci sono notizie che tg e grandi siti faticano a raccontare. 1) Boris Johnson rimane in testa ai sondaggi, anche se le varie rilevazioni effettuate non sono concordi sul margine di vantaggio che i Tories ancora mantengono sul Labour di Jeremy Corbyn. In base alle interviste effettuate alla fine della scorsa settimana, dopo che il premier era stato pesantemente battuto alla Camera dei Comuni e aveva perso perfino il sostegno del fratello Jo, i Conservatori sono ancora primi nelle intenzioni di voto, con un vantaggio che va dai 3 ai 14 punti e una media di 9. Questo potrebbe significare per i Tories una schiacciante vittoria, oppure una situazione come quella attuale, con i Conservatori primo partito, ma senza la maggioranza assoluta dei seggi. 2) Il 52% dei britannici che hanno votato per l’uscita del Regno Unito dalla Ue, nel referendum del 2016, vogliono che il premier Boris Johnson violi la legge anti no-deal, approvata dal Parlamento, e attui la Brexit il 31 ottobre, senza chiedere un’ulteriore proroga alla Ue. Lo rivela un sondaggio di YouGov, condotto nel fine settimana.
Infine ecco le notizie che i media tradizionali, quelli filo-europeisti, non rivelano mai. Il tasso di disoccupazione in Gran Bretagna scende al 3,8% a luglio, il livello più basso dal 1974. Sempre a luglio le retribuzioni sono aumentate del 4% su base tendenziale. E l’agenzia di rating Ficht spiega come la Brexit farebbe un danno alla Ue. Nessun cenno invece a eventuali ricaschi sull’economia britannica. E allora chi ha ragione? Johnson o la Ue e i suoi amici? I numeri non mentono. Mai.