il Giornale, 11 settembre 2019
L’ultimo giorno dei dinosauri
Un enorme tsunami si sollevò e inondò il centro America fino ai laghi del nord degli Stati Uniti. Bruciarono alberi a oltre mille chilometri di distanza e nel cielo si sollevò una nube di zolfo che bloccò il passaggio dei raggi del sole per un periodo di trent’anni, condannando la Terra a un interminabile inverno. Creature che avevano popolato i continenti fino a quel momento sparirono per sempre, e il giorno in cui il mondo si oscurò fu l’ultimo dell’impero dei dinosauri: da quel momento iniziarono a morire, fino alla completa estinzione. La cronaca della più grande apocalisse della storia del nostro pianeta è raccontata ora per ora dall’analisi delle rocce dello spaventoso cratere che si creò dopo l’impatto della Terra con un asteroide che, piombando sul Golfo del Messico, provocò un foro di 28 chilometri di profondità e 100 di diametro. I sedimenti rocciosi dicono che cosa avvenne nelle prime 24 ore di quell’inferno di 66 milioni di anni fa, l’ultimo giorno dei dinosauri, spartiacque tra l’era del Mesozoico e quella del Cenozoico.
Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, ha analizzato un campione di roccia di circa mille metri estratto dal margine del cratere di Chicxulub, a poca distanza dalla penisola dello Yucatan, attraverso trivellazioni durate tre anni. Come gli anelli del tronco di un albero, il campione racconta attraverso la sequenza dei sedimenti i dettagli del giorno che cambiò la storia della terra, dopo che una mostruosa palla di fuoco così doveva apparire a un osservatore che si trovasse in quel momento a osservare il cielo – piombò sul Messico. Spiega quali materiali si depositarono per primi e a quale velocità.
L’urto del meteorite avrebbe generato un’energia dieci miliardi di volte più potente di quella sprigionata dalla bomba di Hiroshima. Avrebbe quindi liberato 425 miliardi di tonnellate di anidride carbonica e 325 di zolfo. Il gigantesco tsunami che seguì l’impatto trascinò acqua fino a 2500 chilometri di distanza. In appena 24 ore il cratere si riempì di 130 metri di sedimenti.
Gli strati più inferiori, di circa 40-50 metri, formati da rocce fuse, si depositarono secondo i ricercatori nei primi minuti dopo il collasso. Un’ora dopo si sarebbe formato un successivo strato di suevite, una breccia composta da frammenti vetrosi e cristalli. La montagna creata dai residui dell’esplosione si elevò poi di un altro strato di circa 80 metri di sedimenti fini, con materiale organico trasportato dall’acqua, oltre a carbone vegetale, generato dagli incendi e alla ricaduta di rocce incandescenti. Inizialmente si sprigionò dunque un grande calore, che potrebbe addirittura aver incendiato alberi «a 1500 chilometri di distanza», secondo quanto afferma il coordinatore dello studio, Sean Gulick, professore dell’Istituto di Geofisica dell’Università del Texas. Ciò che ha colpito i ricercatori è l’assenza di solfuri. La tesi è che l’impatto dell’asteroide avrebbe provocato l’espulsione nell’atmosfera di enormi quantità di zolfo. La nube avrebbe oscurato il sole. «Modelli climatici che hanno stimato soltanto cento miliardi di tonnellate metriche di zolfo – prosegue Gulick – suggeriscono una caduta globale della temperatura di 25 gradi». Il gelo durò almeno trent’anni, e sarebbe stata questa la causa della rivoluzione della vita sulla terra, con la morte della maggior parte delle creature e la nascita di una nuova era. «Ci troviamo di fronte all’evidenza empirica della correlazione tra l’impatto e la grande estinzione», sostiene un altro dei ricercatori, Jaime Urrutia, dell’Università Nazionale Autonoma del Messico. Alcuni dinosauri «furono bruciati» dalla ricaduta di materiale incandescente. Altri «congelarono», spiega Gulick. Il giorno dell’impatto con l’asteroide si creò quindi «un inferno breve e localizzato», seguito da un «raffreddamento globale».