il Fatto Quotidiano, 11 settembre 2019
Intervista a Margaret Atwood
Lei si sente una rockstar letteraria?”, chiede un giornalista a Margaret Atwood durante la conferenza stampa di lancio mondiale, a Londra, del suo I Testamenti, secondo capitolo del fondamentale Il racconto dell’ancella, pubblicato ieri e già finalista al Booker Prize.
Atwood risponde con ironia: “No, a quest’ora sarei morta di overdose. Ma c’è ancora tempo”.
Ma stride il contrasto fra questa donna minuta di quasi 80 anni, travestita da turista americana in vacanza, capace di battute fulminanti, analisi insuperabili, prosa sublime e la formidabile macchina pubblicitaria organizzata per il lancio.
La scelta di Londra, crocevia ideale per un pubblico internazionale. Il molto pubblicizzato conto alla rovescia, culminato alla libreria della catena Waterstones a Piccadilly, dove a mezzanotte di lunedì il libro è andato in vendita alla presenza dell’autrice e vip e fan comuni hanno fatto la fila per ore – come per Harry Potter, suggerisce il Guardian. “A Londra piacciono i grandi eventi. La gente va a vedere l’apparizione di una fila di libri… ah, c’erano anche delle spillette. E della magliette”, scherza.
Ieri sera, la presentazione al National Theatre, evento ritrasmesso in streaming in più di mille cinema britannici.
È un fenomeno di costume planetario, ben oltre i confini della letteratura. Succede quando un libro entra nella vita della gente: e Il racconto dell’ancella – la sua visione del regime distopico, totalitario e misogino di Gilead – è penetrato sotto la pelle di milioni di donne nei 38 anni dalla pubblicazione. La silhouette delle ancelle, l’abito rosso con la cuffia bianca che irrigidiscono movimenti e pensieri, è ormai il vessillo della protesta silenziosa ed efficace delle donne che si oppongono, negli Stati Uniti e nel resto del mondo, all’approvazione di leggi antiabortiste che le privano della libertà di decidere del proprio corpo: un simbolo globale di resistenza. La serie televisiva che ne è stata ricavata, per Hulu, ha fatto il resto, portando la visione della Atwood a milioni di spettatori e favorendone la commercializzazione. Per anni la Atwood ha resistito alle richieste di un sequel; a spingerla a tornare a Gilead il clima politico in alcuni Stati americani, dove il corpo delle donne è già stato assoggettato da nuove leggi e Gilead è realtà.
“Fino alla caduta del Muro di Berlino gli Stati Uniti si sono venduti come il Paese della libertà, l’antitesi ai regimi totalitari. Dopo sono uscite tutte le ombre che non vedevamo”. Oggi, per molti, Atwood è una profetessa a cui guardare per avere risposte sul presente e sul futuro. Il manoscritto dei Testamenti, con la sua dote di diritti televisivi, era così prezioso che ha rischiato di essere rubato. La scrittrice è stata presa di mira da cybercriminali che, con email false, hanno tentato di ottenere una copia digitale. “Abbiamo dovuto usare un mucchio di parole in codice e password. Avrebbero potuto minacciare di pubblicarlo online in cambio di un riscatto, o infettare le copie scaricate”.
Nei Testamenti, ambientato 15 anni dopo la fine del Racconto dell’ancella, Atwood cerca di capire come si arrivi alla costruzione di un regime e cosa ne determini la caduta.
Le voci narranti stavolta sono tre: comincia zia Lydia, una delle fondatrici di Gilead, nel Racconto dell’ancella onnipresente ma secondaria. Qui parla in prima persona, si rivela intimamente, racconta il prima, la sua vita da giudice, e il dopo, quella da carnefice, e apre il romanzo: “Solo chi è morto ha diritto a una statua; a me, invece, ne è stata dedicata una in vita. Sono già di pietra”. In originale, Already I am petrified: di pietra e pietrificata. Con lei la Atwood esplora l’area grigia degli opportunisti, dei collaborazionisti, indispensabili per il funzionamento di un regime – Come arrivano al potere? Come lo usano? e come giustificano a se stessi le proprie azioni?
E poi l’incognita delle seconde generazioni: Agnes, figlia di Comandanti, che non ha mai conosciuto una alternativa e sembra non mettere in discussione il suo destino di schiava sessuale: l’adolescente Daisy, scappata da piccolissima e al centro della resistenza contro il regime che finirà per accelerarne la caduta. Il vero motore della crisi di Gilead è una rivelazione: il regime crolla sotto il peso della verità. Ancora un volta, la fiducia totale della Atwood nel potere costruttivo o distruttivo della parola. “Scrivere è sempre un atto di speranza perché presuppone che qualcuno ci leggerà. Significa credere nel futuro”.