La Stampa, 11 settembre 2019
I rischi delle colonie spaziali
«Se ragioniamo di viaggi spaziali e colonie su altri pianeti spesso non teniamo conto di un fattore determinante: la gravità». A parlare è James Pawelczyk, fisiologo e astronauta americano, membro del «Life Sciences Advisory Subcomitee», il comitato per le scienze biologiche della Nasa. Nel 1998 ha partecipato a una missione sullo shuttle «Columbia» per studiare gli effetti della microgravità su cervello e sistema nervoso. E ha dedicato numerose ricerche sulle reazioni dell’organismo.
La gravità, questa dimenticata. Almeno quando si discute di insediamenti su Marte o di stazioni orbitanti nel Sistema Solare (i russi hanno progetti riguardo il Pianeta Rosso e Venere). In realtà i ricercatori hanno ben presente il problema. «Ogni forma di vita terrestre si è evoluta con la gravità. E in sua assenza ci sono conseguenze per l’organismo, dalla perdita di massa muscolare alla riduzione di densità delle ossa fino alle alterazioni dei fluidi corporei. Sappiamo poco, invece, dei problemi a lungo termine. Sono considerazioni da fare prima di progettare una colonia autosufficiente sulla Luna o su Marte», dice Pawelczyk. Lo scienziato ne ha parlato in una conferenza alla Phisiological Society di Londra. Lanciando un avviso, più che un allarme. «Sarebbe prudente fare esperimenti su altri esseri viventi, soprattutto mammiferi».
Lei è quindi contrario alla creazione prematura di colonie nel Sistema Solare?
«Se non si prendono le necessarie precauzioni, sono contrario. Intendo maggiori conoscenze. La gravità sulla Luna è un sesto di quella terrestre, su Marte siamo al 40%. Il Programma della Nasa "Artemis", che ha l’obiettivo di far allunare la prima donna astronauta e il prossimo uomo nel 2024, si servirà di un "gateway", una stazione orbitante in cui gli astronauti vivranno. Il prossimo passo sarà portare gli umani su Marte intorno al 2030. Si tratta di basi scientifiche: sarebbe l’occasione per condurre dei test su roditori».
Test di che tipo?
«Test di lunga durata per vedere come reagiscono alla gravità modificata. In assenza di uomini, le colonie di roditori potrebbero essere assistite da robot e Intelligenza Artificiale con un controllo remoto dalla Terra. Gli astronauti potrebbero visitare periodicamente le colonie per un periodo che copre più cicli di vita degli animali e verificare così se ci sono alterazioni genetiche trasmesse da una generazione all’altra».
La Nasa studia gli astronauti Scott Kelly e Mikhail Kornienko, dopo una missione di 342 giorni sulla Stazione Spaziale: i dati di Kelly sono stati confrontati con quelli del gemello Mark. Cosa si è scoperto?
«Sono state rilevate su Scott diverse alterazioni, alcune passeggere, altre che sembrano durare. Per esempio i telomeri, sezioni del Dna che proteggono i cromosomi dal deterioramento, si sono allungati, ma a pochi giorni dal ritorno si sono ristretti, rispetto alla partenza. Ci sono invece delle mutazioni genetiche che paiono stabili».
La fantascienza ha risolto il problema con la gravità artificiale o simulata: è possibile nella realtà?
«E’ complicato. Per aumentare la gravità di un pianeta bisognerebbe aumentarne la massa, un’opera immane, oltre ogni ipotesi concreta di "terraforming". I film ci mostrano stazioni spaziali dove la gravità è simulata attraverso la rotazione, in altre parole la forza centrifuga. Ma, a parte il fatto che funzionerebbe solo con stazioni molto grandi, la gravità simulata terrebbe gli inquilini spaziali con i piedi per terra e difficilmente risolverebbe la perdita di massa muscolare. Inoltre, causerebbe problemi di orientamento ed equilibrio».
Quanto sono realistici i progetti di «terraforming», con cui trasformare altri pianeti e renderli simili alla Terra?
«La parte più importante per terraformare è creare un’atmosfera del tipo terrestre. Per trattenerla, però, c’è bisogno di gravità e poli magnetici, altrimenti i venti solari la disperdono. Si pensa che Marte e Venere abbiano avuto in passato atmosfere simili alla Terra, ma le abbiano perdute. E senza atmosfera c’è anche il problema delle radiazioni. Per questo prevale l’idea di basi sotterranee su Marte».
Intanto sono da privilegiare le missioni scientifiche?
«Sì, le missioni esplorative e scientifiche sono importanti. Stiamo diventando una civiltà di navigatori dello spazio. Quello che era un gioco tra gli Usa e la vecchia Urss è oggi una collaborazione plurale, il che è entusiasmante».