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 2019  settembre 11 Mercoledì calendario

In Kashmir comandano le donne

Tra i monti dell’Himalaya a Nord del Pakistan, lungo l’autostrada del Karakorum, dopo un brulichio di burkha blu e senape che esprimono la normalità della radicalizzazione islamica, si arriva finalmente in una valle ricoperta di meli, albicocchi e ciliegi, dove le donne girano a viso scoperto per le strade, anche di notte, senza dover essere accompagnate da parenti maschi. Quassù, tra le cinque montagne della valle di Hunza, descritta da James Hilton in «Orizzonte Perduto» come l’originale Shangri-La, negli ultimi anni è spuntata un’isola di determinato eco-femminismo, assediata da un mare di povertà, estremismo e missili che volano tra due superpotenze nucleari sempre più innervosite.Il 90 per cento delle donne di questa comunità lavorano come falegnami, imbianchine, meccaniche e lucidatrici. Le trovi in un grande capannone dove disegnano, tagliano e lucidano il legno per farne mobili oppure infissi per finestre e porte. Hanno tra i 19 e i 40 anni, indossano mascherine e cuffie, quando non siedono al tavolo da disegno del laboratorio. Guadagnano più del salario medio pachistano. Il tutto nonostante qui siamo nel Kashmir occupato dal Pakistan, in una regione attraversata dalla rispolverata Via della Seta, oggi sempre più frequentata da tir e autobus che fanno la spola tra il Sud del Pakistan e la Cina. Com’è stato possibile arrivare a un’inversione di tendenza in un mondo musulmano sempre più restrittivo delle libertà femminili? Tutto nasce grazie al connubio di una setta illuminata musulmana e dell’investimento di Paesi lontani. Alla radice della rivoluzione eco-femminista c’è l’organizzazione Ciqam, «prosperità» in lingua brushaski, nata nel 2009 come workshop di falegnameria e artigianato a zero emissioni per arginare il soffocamento ambientale del cemento e della plastica. Difatti, uno dei primi progetti fu di piantare 14 mila salici, noci, ulivi e gelsi, che sono andati ad aggiungersi ai molteplici frutteti che ricoprono la valle. Poi ci fu una decisione storica: assumere non solo maschi, ma anche femmine per ristrutturare l’antico castello di Altit che, ormai fatiscente dopo 800 anni di incurie, fu donato dal proprietario all’Aga Kahn nel 2001. Una volta che le donne avevano appreso i segreti del mestiere, costruendo ponteggi e travi nel castello, hanno voluto mettere in pratica le abilità imparate. E fu sempre l’Aga Khan, il leader spirituale ismailita, corrente sciita tra le più moderate, a finanziare le prime 16 scuole egualitarie nel dopoguerra, cui si aggiunse nel 1983 l’Accademia, scuola di alta qualità solo per studentesse. Nella valle, oggi, l’alfabetizzazione è del 77 per cento, molto più alta della media nazionale, ed è facile trovare chi parla inglese fluentemente. Il connubio di eguaglianza nell’offerta del lavoro, con il restauro del castello, e nell’offerta dell’educazione, con scuole e accademia, ha solidificato quindi le basi per un’evoluzione nei rapporti di genere. Alla base di questo fenomeno c’è la volontà degli sponsor. Famosa la massima rivoluzionaria del principe Karim al-Husayni, Aga Khan IV e miliardario filantropo: «Se un uomo ha due figli, un maschio e una femmina, deve educare prima la femmina. Perché quando lei sarà educata, potrà educare tutta la famiglia». Con l’aggiunta di finanziamenti norvegesi e giapponesi le iniziative si sono moltiplicate e le donne hanno contribuito a costruire una rete fognaria che genera fertilizzante, la rete elettrica sotterranea e una rete idraulica. Ciqam al momento dà lavoro a 100 donne.Ed ora al Kha Basi Cafè nel castello si vedono lavorare solo donne che guadagnano bene e non devono più dipendere dai mariti. «Vogliamo ridurre la povertà e dare opportunità alle ragazze della nostra regione. Ma la gente ha reagito in modo molto aggressivo all’inizio», racconta Ageela Bano, direttrice di Ciqam, «facevano tante domande: “ma vi pare un lavoro per donne? Smettetela!”. Poi abbiamo avuto sempre più clienti in falegnameria e nel ristorante. E forse un giorno smetteranno di chiederci di fare lavori da donna». «L’accesso all’istruzione garantita anche per le ragazze appiana senza dubbio la distinzione di genere», spiega il professor Shahid Siddiqui, direttore del Centro per le Scienze Sociali dell’Università di Lahore, «a Hunza, le donne lavoratrici sono diventate parte integrante dell’economia della regione».Il contesto ha già dato grandi risultati, non solo nella vita quotidiana, ma nel creare eccellenze. Dai nuovi campionati di sport della valle di Hunza è emersa Diana Baig, campionessa di cricket di livello internazionale. E Samina Baig, una hunzakut, è la più giovane donna musulmana ad aver scalato l’Everest, prima pakistana ad aver raggiunto le sette cime più alte del mondo, tant’è che una montagna è stata ribattezzata in suo onore «Cima Samina». Dal centro musicale Leif Larson aperto tre anni fa, stanno emergendo nuove cantanti e musiciste che compongono melodie e testi nella lingua locale. «Non abbiamo più paura», dice la cantante Suneila Baig. «Chi ci può fermare?». La risposta è: il maschilismo e gli estremisti. Difatti le donne sono ancora costrette a sobbarcarsi tutti i lavori domestici, nonostante sgobbino in falegnameria. E poi si è registrato un aumento di suicidi sospetti che molte sono convinte siano solo omicidi d’onore. Nonostante queste minacce, si è ormai accesa una scintilla che rinfocola l’eguaglianza in questo baluardo eco-femminista contro l’estremismo islamico.