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 2019  settembre 10 Martedì calendario

Il Führer secondo Disney

C’ è una domanda che in tutto il mondo ci si fa da circa ottant’anni: si può ridere del (e col) nazismo? Adolf Hitler, con quella faccia da capocomico di una compagnia di provincia, può essere un personaggio simpatico? Fino a che punto è consentito scherzare sulla più grande tragedia del Novecento, anche se gli ebrei – che ne furono le prime vittime – hanno dalla loro un umorismo nero decisamente sviluppato?
La domanda riaffiora ogni qual volta qualcuno osa sfidare il tabu in base al quale la più sanguinaria ideologia dell’Europa occidentale deve essere raccontata soltanto con toni lugubri di condanna, senza alcuno spiraglio di luce. Ancora di più questo accade se a «giocare» sulle svastiche e sulle camicie brune è la Disney, la multinazionale dell’intrattenimento politicamente corretto (anche se poi il suo fondatore Walt alla fine degli anni Trenta dovette fronteggiare accuse di filonazismo e antisemitismo). Una delle controllate della Walt Disney Company, la Fox Searchlight Pictures, ha presentato qualche giorno fa al Toronto International Film Festival il film Jojo Rabbit, la storia di un ragazzino (Jojo Betzler) membro entusiasta della Gioventù hitleriana che un giorno scopre che la madre Rosie nasconde in casa una giovane ebrea di nome Elsa. Tra i due ragazzini nasce un’amicizia che mette a repentaglio i solidi princìpi nazionalsocialisti di Jojo e soprattutto entra in conflitto con il suo amico immaginario, tale Adolf Hitler. Che nel film viene raccontato come uno zuzzurellone vagamente psicotico, con cui è divertente correre, saltare e chiacchierare. Anche se i suoi discorsi sono un po’ strampalati. Quando Jojo si lamenta perché i compagni di scuola a causa del suo scarso coraggio gli danno del coniglio (il «Rabbit» del titolo), Adolf gli risponde così: «Anche di me dicevano, guarda quel tipo strano, guarda quello psicopatico, finirà per ammazzare qualcuno...». A dare volto e corpo al Fürher più stralunato della storia è l’attore neozelandese Taika Waititi, per metà maori e per metà ebraico, che del film è anche regista. Il resto del cast è stellare: Scarlett Johansson interpreta la mamma di Jojo, Sam Rockwell il gerarca che gestisce il campo per «nazistini», mentre Jojo è il piccolo (e pare bravissimo) Robin Griffin Davis.
Il film è illuminato da una fotografia coloratissima e rétro che ricorda vagamente l’estetica di Wes Anderson e dai trailer appare cinematograficamente impeccabile, decisamente godibile. Eppure la critica si è divisa, naturalmente su questioni di opportunità. Se The Collider ha parlato di Jojo Rabbit come del «più tenero e divertente film sul nazismo mai visto», il critico di Indie’s Wire è meno entusiasta e parla di «operazione grossolana e tutt’altro che ingenua. I nazisti non erano solo un mucchio di stupidi drogati», mentre Variety definisce il film «una versione Mean Girls di Hitler» riferendosi a una commediola di successo di qualche anno fa. E su internet in molti si sono indignati parlando di pellicola «oscena e folle» e assicurando: «Su certe cose non si scherza».
Eppure su certe cose si è scherzato eccome in altre occasioni. Lo fece Charlie Chaplin nel Grande Dittatore ma si era nel 1940 e quindi la tragedia dell’Olocausto doveva ancora manifestarsi in tutta la sua distopica follia. Lo fece Ernst Lubitsch in Vogliamo vivere! del 1942 ma vale lo stesso discorso. Lo ha fatto più di recente Mel Brooks, che nel remake del film di Lubitsch intitolato Essere o non essere (1983) riuscì a strappare molte risate sul nazismo (guardatevi su Youtube l’imperdibile Hitler rap); lo hanno fatto pochi anni fa David Wnendt nel film Lui è tornato, tratto dal best seller di Timur Vermes, che immaginò un risveglio del Führer settant’anni dopo la sua morte; e il regista svizzero ebraico Dani Levy che in Mein Führer. La veramente vera verità su Adolf Hitler, raccontò gli ultimi mesi del dittatore con toni talmente patetici da guadagnarsi l’accusa di antistoricità. No, con certe cose proprio non si riesce a scherzare.