Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 10 Martedì calendario

Tutte le partite di Paul Singer, dai Tango Bond al Milan

Istituzioni internazionali, family office, privati miliardari, banche, fondi pensione: sono centinaia i sottoscrittori dei fondi Elliott, ormai diventato tra i maggiori fondi attivisti al mondo, se non addirittura il primo. I sottoscrittori sono anonimi: partecipano a fondi con sede, spesso, nel Delaware o nelle isole Cayman. Il volto più noto è Paul Singer, secondo Forbes 691esimo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato di 3,2 miliardi di dollari, figlio di un farmacista di Manhattan e di una casalinga. Lui stesso, fondatore del gruppo, è sottoscrittore dei diversi veicoli con la sua famiglia.
I primi investimenti sono stati nel debito sovrano. La battaglia più famosa del passato resta quella in Argentina contro il governo per il rimborso delle obbligazioni: il fondo Elliott aveva investito (comprando nel 2001 con un forte sconto, per un valore nominale di 630 milioni di dollari) sui Tango bond, poi finiti in default. Con la stessa logica ha investito anche sul debito di altri Paesi, come il Perù (il fondo aveva intentato causa sequestrando anche il jet del presidente peruviano, Alberto Fujimori) e il Congo.
In Italia Elliott è molto presente. Sicuramente tra i sottoscrittori dei suoi fondi ci sono investitori italiani, anche se anonimi. Finora proprio tra i confini tricolori l’atteggiamento attivista ha fatto guadagnare dei bei soldi ad Elliott: l’unica partita chiusa definitivamente è quella su Ansaldo Sts, dove era stato costruito a partire dal 2016 un pacchetto rilevante (il 31,79%) poi ceduto ad Hitachi. La plusvalenza, dopo l’uscita, è stata di 178 milioni: con un rendimento di circa il 28,3%.
Ora restano alcune partite da sistemare. La principale è Telecom Italia. dove il fondo è entrato nel 2018 in opposizione a Vivendi. Nell’assemblea del 4 maggio dello scorso anno il ribaltone: il fondo Elliott, appoggiato anche da Cdp, vince con il 49,84% dei voti (che gli valgono 10 posti su 15 nel board) mentre Vivendi ottiene il 47,18%. Con il nuovo Cda, Telecom Italia diventa, come voluto da Elliott, una public company. Ora si attende l’esito della diatriba con Vivendi e di altre vicende come lo scorporo della rete. Per ora il bilancio borsistico non è positivo: nel maggio dello scorso anno il titolo Tim quotava 0,85 euro, mentre attualmente vale 0,49 euro. 
Altre due partecipazioni di Elliott sono poi sotto i riflettori. Una è quella sul Credito Fondiario, banca attiva nel settore dell’acquisto e della gestione dei crediti deteriorati. Elliott ha investito molto sul Credito Fondiario (da ultimo un aumento di capitale da 120 milioni) e, in caso di uscita futura dall’investimento, le attese di prezzo non potranno che essere elevate.
Ma il dossier più delicato resta quello del Milan, dove il prezzo di carico dell’investimento (dopo la conversione del debito dell’ex-proprietario cinese Yonghong Li) si sta alzando sempre di più. Ai vertici manageriali della società è arrivato il super-manager Paolo Scaroni, già apprezzato dal fondo Usa, e il club si trova ora a cercare un faticoso rilancio sia economico sia sportivo. Proprio sul calcio, settore soggetto a variabili non prevedibili, il fondo Elliott rischia di accusare perdite consistenti. Tranne che, in un futuro più o meno vicino, arrivi un compratore che metta sul piatto almeno 500 milioni di euro.