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 2019  settembre 10 Martedì calendario

I Robin Hood della genetica

Piratare la «ricetta» di una costosissima terapia genica e riprodurla, nel garage di casa, con appena 7 mila dollari.
Sembra una riedizione della nota serie «Breaking Bad», che comincia con uno stanco professore di chimica che, per arrotondare la paga da insegnante di liceo americano, si mette a produrre metamfetamina, nel camper di un tossicodipendente, nel deserto del New Mexico. Solo che, a differenza di «Breaking Bad», la storia è vera e al posto del professore senza scrupoli ci sono «biohackers» animati dalle migliori intenzioni: la terapia genica piratata, «Glybera», contro una grave malattia rara, la Deficienza da lipoproteina lipasi, è sul mercato europeo dal 2015 per 1 milione di dollari a trattamento.
«La terapia alternativa invece - ha affermato uno dei biohackers, Gabriel Licina - è stata sviluppata in un capannone nel Mississippi, in un magazzino in Florida, in una camera da letto in Indiana e su un computer in Austria con meno di 7 mila dollari». E, dunque, potrebbe fare concorrenza alle multinazionali del farmaco. 
Potrebbe essere una truffa e la terapia non funzionare affatto e, in più, come si può far arrivare ai pazienti un farmaco illegale? Eppure il clamoroso caso non è da sottovalutare: basta un precedente del genere per scatenare le associazioni di pazienti. Il drammatico episodio Stamina (la sedicente terapia che prometteva di curare alcune malattie neurodegenerative, messa a punto dall’«esperto» Davide Vannoni, ancora in guai giudiziari) incantò la politica e non solo i pazienti, dando il via a inutili e costose sperimentazioni che, infine, certificarono il raggiro, a spese dei contribuenti (per la sperimentazione autorizzata dal ministero) e delle speranze di migliaia di malati.
Il «biohacking» americano, tuttavia, è più complesso. Mentre ai tempi di Stamina si aveva a che fare con un «inventore» che di medicina non sapeva nulla, stavolta si ha a che fare con personaggi potenzialmente preparati e con l’aspirazione di diventare dei «Robin Hood delle terapie». «Non dimentichiamo - commenta il genetista dell’Università di Ferrara Guido Barbujani - che, oltre a essere animati da buoni propositi, potrebbero coltivare una sfida intellettuale, intrisa del risentimento contro Big Pharma e le grandi imprese scientifiche profit». Il fatto che sia stato possibile riprodurre una terapia in un garage con 7 mila dollari «mette il dito nella piaga dei costi altissimi della ricerca biomedica: il prezzo dei farmaci in commercio si spiega con gli oneri elevatissimi di ricerca preclinica e clinica, dai quali si deve rientrare, altrimenti un’azienda farmaceutica chiuderebbe. Però fa riflettere, se fosse confermato, che si possa formulare con poche migliaia di dollari, e attrezzature artigianali, un farmaco che viene venduto a 1 milione di dollari».
Al momento il biohacking ha portato solo a un prototipo di cura, ancora da testare, ma, se la «ricetta» fosse divulgata e «confermata» e si scoprisse che, forse non con 7 mila dollari e tuttavia con molto meno di 1 milione, si arrivasse a un risultato effettivo, le conseguenze potrebbero essere a cascata, generando un probabile caos.
Sullo sfondo del giallo c’è il boom della contraffazione farmaceutica. E’ un affare che vale miliardi di dollari nel mondo e fa grandi danni: ci sono presunti prodotti salvavita, come antivirali e antitumorali venduti nel Terzo Mondo, e altri più «soft», che vanno per la maggiore in Occidente, come le copie illegali del Viagra e di tanti dietetici. Cosa contengano non è chiaro: il principio attivo potrebbe essere sottodosato, sovradosato o nullo. O sostituito da chissà cos’altro. Sono farmaci che si trovano su Internet, in chiaro, e sul Dark Web a prezzi irrisori. Senza ricette. E costano ai sistemi sanitari ricoveri d’urgenza, oltre che blitz delle polizie e il monitoraggio da parte di centri e società scientifiche.
E’, quindi, necessario tenere alta la guardia. «Vogliamo davvero che si diffondano terapie fai-da-te, disponibili su Internet e svincolate dalla complessa e necessaria serie di test a cui vengono sottoposti i farmaci messi in commercio? Se i farmaci comuni - osserva Barbujani - già costituiscono un possibile rischio, pensiamo a cosa potrebbe succedere con terapie delicate come quelle che coinvolgono il nostro Dna come la terapia genica».
Il caso «made in Usa» è comunque un giallo: chi sono i biohackers? Qual è il loro background scientifico? Potrebbero essere ex ricercatori o ex dirigenti di società farmaceutiche? Si definiscono «biologi indipendenti» e adesso pretendono che la loro «versione» sia testata da aziende e università e parlano di una tecnica nuova, che utilizza ipotetici «minicircles» di Dna, mentre la terapia genica si avvale di virus vettori che introducono il gene sano nelle cellule. «Se i "minicircles", di cui non ho mai sentito parlare, fossero altrettanto efficaci - riflette il professore - perché non li adottano anche le case farmaceutiche? E, se non lo sono, c’è qualcuno che può illustrarci le loro potenziali conseguenze?».