La Stampa, 10 settembre 2019
Jack Ma lascia Alibaba
Un aneddoto a lungo tramandato su Karl Marx, apocrifo o no che sia, narra che il padre del comunismo, durante una conferenza a Londra fosse interrotto da un aristocratico che, con fare snob, gli chiese ironico «Dottor Marx, mi scusi, nella futura società socialista chi luciderà gli stivali?», e Marx, senza batter ciglio, «Lei, naturalmente!».
Chissà cosa penserebbe il filosofo rivoluzionario del 1848, leggendo oggi di Jack Ma, il capitalista fondatore del colosso cinese dell’e-commerce Alibaba, il quale è membro zelante del Partito comunista cinese e paga la sua quota tessera - conferma il Quotidiano del Popolo - fino al 2% del reddito. Un affare per il partito, visto che il patrimonio personale di Ma è calcolato in 40 miliardi di dollari (36 miliardi di euro) e la sua compagnia Alibaba, con la rete business collegata, vale sul mercato 460 miliardi di dollari (414 miliardi di euro).
La contraddizione della Cina comunista, dopo la svolta alla libera impresa impressa dal leader Deng Xiaoping, ribalta l’assunto di Marx. La dittatura del proletariato espressa dal partito con un solo capo coesiste con il più frenetico ritmo di arricchimento dei capitalisti, stile XIX secolo, e con ogni sfruttamento. Jack Ma, 55 anni compiuti oggi, lascia ora l’impero nelle mani di un nuovo amministratore, Daniel Zhang, e dalla prima versione commerciale delle origini gli consegna un’operazione che coinvolge finanza, tecnologia, informatica, intelligenza artificiale, con 100.000 addetti al lavoro.
L’addio di Ma riempie gli spazi sociali web cinesi, pur censurati dalle autorità di Pechino, di supposizioni, idee, dibattiti, curiosità. C’è chi è persuaso che Ma lasci come Bill Gates di Microsoft, perché dopo avere lanciato un brand di successo ed essere diventato il cinese più ricco, sogna altre sfide. Ma non pochi analisti sostengono tesi differenti, certi invece che nel nuovo clima politico della superpotenza asiatica, Jack Ma, con il fiuto e l’intelligenza che gli hanno permesso di battere gli americani al loro gioco economico, intuisca che è il momento di passare la mano. Alibaba è, per esempio, l’editore dello storico quotidiano di Hong Kong, il South China Morning Post fondato nel 1903, che deve raccontare la rivolta popolare in corso nella capitale finanziaria, senza venire chiuso dal partito e senza scontentare troppo i cittadini. Impresa impossibile, ovviamente e segno chiaro che per Ma, militante fedele del partito comunista, gli spazi si sono ridotti.
Da tempo il presidente Xi Jinping, il leader che ha centralizzato più potere personale dall’era di Mao Zedong, insiste al congresso del partito e nelle relazioni personali che l’economia del Paese deve essere strettamente controllata dai dirigenti comunisti. I ricercatori e gli studenti cinesi all’estero devono formare cellule del partito e illustrare ogni loro mossa al capo sezione. Anche i grandi amministratori delegati e gli azionisti ricchi non possono considerarsi mai affrancati dal rendiconto preciso al regime.
È dunque possibile che la grande festa di compleanno e di addio per Ma, 80.000 persone allo stadio Hangzhou Centro Olimpico, con cori, canti, show e un palcoscenico di star nasconda, tra luci e applausi, un compromesso silente tra Ma e Xi, «i compagni diffidenti», li ha definiti l’agenzia Reuters. Jack Ma si fa da parte e si libera, almeno per ora, dalle trame e dai processi che hanno colpito altri oligarchi, sospettati dal partito o accusati di legami con la corruzione nell’industria della Difesa. Xi, senza muovere un dito, lancia un segnale formidabile ai capitani d’industria del Paese: occhio che potete prosperare, senza eccessi, potete provare a diventare il nuovo, o la nuova, Jack Ma, a patto di tenere in tasca la tessera e in mente che il partito comanda comunque.
Karl Marx non l’immaginava e neppure le Mille e una Notte, ma il comunismo capitalistico cinese va così, e mister 500 Miliardi Jack Ma Alibaba è il primo a riconoscerlo.