Corriere della Sera, 10 settembre 2019
Gianni Brera, creatore di neologismi
Salvate Brera dai suoi accoliti e dai suoi imitatori! A 100 anni dalla nascita, Sky Arte ha dedicato un documentario di Angelo Carotenuto e Malina De Carlo al più importante scrittore italiano di sport: «C’era una volta Gioânn». Già dal titolo, si capisce che siamo nell’ambito della venerazione del «padano di riva e di golena, di boschi e di sabbioni».
Su Brera, infatti, esiste un culto diffuso, anche per via del suo spiccato gusto nel creare parole nuove. Era un onomaturgo, un coniatore di neologismi: «abatino», «centrocampista», «Eupalla», «libero», «palabratico» («I pirletta sghignettavano molto leggendo neologismi ad ogni pezzo: ma se non esistevano i termini?»). Ha ragione Gianni Mura: Brera è stato il primo a tracciare una pista, il suo grande merito è di aver arricchito un linguaggio povero (quello del giornalismo sportivo).
Dire, come si dice nel documentario, che ha «sistemato» Gadda, Pasolini ed Eco è risibile. Il documentario non poteva non trattare anche la famosa disputa con Umberto Eco. Che, nel 1964, in «Apocalittici e integrati» se la prende con Brera definendo il suo stile «gaddismo spiegato al popolo», basato sull’ «impiego gratuito di stilemi ex-colti». La sua prosa (soprattutto quella degli infelici romanzi) è la stessa «contro cui si scaglia Roland Barthes quando ne «Il grado zero della scrittura» mette a nudo la radice piccolo borghese, pretenziosa e mistificante, del realismo socialista di un Garaudy: metafore come «strimpellare la linotype» o «la gioia cantava nei suoi muscoli» sono esempi perfetti di midcult.
La risposta di Brera è nota: «Eco è un pirla». Le pagine più belle di Brera sono quelle meno pretenziose, le «sette o otto cartelle scritte in un’ora e mezzo», quelle, per esempio, che formano «Coppi e il diavolo». Oggi le sue considerazioni etniche suscitano molte perplessità, al pari delle sue partecipazioni al «Processo del lunedì».