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 2019  settembre 08 Domenica calendario

Intervista a Iggy Pop

«Gimme danger, little stranger», «Dammi qualcosa di pericoloso, piccola sconosciuta» , canta la figura a torso nudo sul palco, mentre il gruppo suona una musica cupa, ripetitiva e ipnotica. «Gimme danger and I’ll feel your disease, there’s nothing in my dreams», «Dammi il pericolo e io sentirò la tua malattia, non c’è niente nei miei sogni» . Il pubblico inizia una battaglia, gli tira lattine, gli sputa addosso, ricambiato. Poi il cantante rompe una bottiglia e si taglia il petto con i cocci di vetro. Sangue. Provoca le prime file e poi si lascia cadere in mezzo alla gente, si picchia con qualcuno, la band continua a suonare. Ritorna sul palco distrutto, si rotola per terra, emette dei singulti che poi tornano ad essere la canzone Beautiful baby, feed my love all night. Qualsiasi cosa succeda, vuole arrivare fino alla fine. Qualche volta lo portano all’ospedale. Punti di sutura. Ma non va a dormire, sta fuori tutta la notte, si prende a botte di nuovo. Ogni tanto sviene e dorme per strada. Era il 1969. Iggy Pop era un tipo pericoloso. Il giubbotto di pelle nera con le borchie d’argento è ancora quello, la maglietta, anch’essa nera, recita “I need more”, certo le ferite ci sono, Iggy cammina a fatica: «Ho sempre avuto una gamba più corta dell’altra ma non mi sono mai curato», spiega, eppure il sorriso, mentre ti stringe la mano, è smagliante. Forse non lo conoscete bene ma questo è l’uomo che nel 1969, in pieno sogno hippie, con la sua band, gli Stooges, ha creato una musica che ancora oggi è modernissima e ha influenzato più generazioni a venire: quella punk, quella noise, quella grunge. E che, ancora adesso, continua a sperimentare, a fare progetti sorprendenti come il nuovo album, Free, un manifesto già dal titolo, fortemente influenzato dal jazz in cui legge poesie di Dylan Thomas ( Do not go gentle into that good night), traccia una sorta di somma della sua carriera ( « We are the people who do not know how to die peacefully », «Noi siamo le persone che non sanno come morire in pace » ) in We are the people, dice cose molto esplicite sul porno online in
Dirty Sanchez ( « cerca di inculcare desideri che non sono i miei desideri » e spiega « just because I like big tits, doesn’t mean I like big dicks » e non c’è bisogno di tradurre). « Ma qui è fantastico!», esclama commentando la splendida vista sul Tamigi che si vede dalla finestra.
Per parlarti ti si avvicina: «Puoi tenere il tono di voce più alto del solito? Sai, con il volume della musica che ho sempre tenuto sono diventato un po’ sordo».
Nelle note che accompagnano questo disco, “Free”, dici che hai potuto finalmente abbandonare l’insicurezza che ti ha sempre accompagnato. A cosa ti riferisci?
«Quello di cui stavo parlando è che ho sempre avuto difficoltà a farmi finanziare i dischi. È sempre stata dura difendere la mia musica, essere appunto, libero, come dice il titolo.
Volevano che venissi a compromessi. Era molto difficile anche farmi finanziare i tour: i numeri, i soldi, tutte queste cose! È stato difficile per un lungo, lungo tempo e poi ha cominciato ad andare un po’ meglio ma stavo comunque in quella zona media in cui era molto, molto difficile fare ciò che volevo. L’ho fatto lo stesso ma ero sempre al limite.
Finalmente, oggi sono arrivato al punto in cui posso realizzare ciò che voglio. I miei numeri sono migliorati e ho abbastanza soldi per finanziare i dischi. È molto meno costoso fare un album adesso e questo aiuta davvero. E ora un sacco di gente viene ai miei concerti. Suono le stesse canzoni per cui cinquant’anni fa tutti mi guardavano allucinati e oggi invece ci sono i loro nipoti che saltano come pazzi, tirano fuori la lingua, urlano, lanciano cose. È divertente, non credi?».
Beh, sì, negli anni Sessanta c’erano gli hippie da una parte e una società molto perbenista dall’altra e la vostra musica era veramente avanti, infatti è stata capita solo molto tempo dopo dal punk, che ha ripreso musicalmente proprio quello da cui voi eravate partiti.
«Sì, devo dire non solo musicalmente, spesso sento una certo eco anche nei testi. Capisco quando rubano, capisco che sono io, che sono le mie parole ma devi essere contento quando qualcuno ruba da te. È una buona cosa. Comunque sì, è stato un processo graduale e ho dovuto lavorare tanto nel frattempo, ma sono contento che ci sia un riconoscimento di quello che io e gli Stooges abbiamo fatto (nel 2010 Iggy e gli Stooges sono stati ammessi nella Hall of Fame, molto tardivamente per ciò che hanno significato. Però, sono stati nominati a furor di popolo e hanno fatto un’esibizione di fronte a star come Bruce Springsteen e i loro figliocci, i Green Day, che ha mostrato cosa significa davvero la parola “punk”, ndr) ».
La cosa incredibile dei tuoi testi era che comunicavano a un livello emotivo, ti facevano stare in tensione non solo quando cantavi “Gimme danger” o “Now I want to be your dog” ma persino quando ripetevi “I feel all right” perché si sentiva che, al contrario di ciò che dicevi, non ti sentivi bene per niente e che stava per succedere qualcosa.
«Sì, me l’hanno detto anche altre persone (ride)...».
E tu cosa ne pensi?
«Beh, oggi il business della musica è diventato enorme ma, soprattutto, la percezione del business che c’è dietro la musica è molto più forte di un tempo. L’artista ha perso la sua innocenza. Lui o lei, inoltre, hanno ottenuto il potere di controllare tutto ma nel fare questo, appunto, hanno perso la propria genuinità. Pensano continuamente a cose da fare per migliorare i loro guadagni. Tutti i gruppi di un tempo, a partire dai Beatles, non avevano nessuna percezione. I Beatles avevano soltanto il 50% dei diritti su quello che facevano, il resto era di Northern Music. Solo più tardi hanno creato la loro casa di pubblicazione. E molti grandi gruppi di quegli anni, pur avendo scritto grossissime hit, non avevano un soldo perché le canzoni non erano di loro proprietà anche se le avevano fatte loro! Oppure non prendevano royalties o, se le prendevano, erano miserabili.
Nessuno sapeva niente di diritti di riproduzione, nessuno se ne interessava. Io non sapevo niente.
Pensavo che fosse una cosa che si faceva e basta, la facevi per la gloria, ci mettevi il tuo nome sopra e un po’ di soldi prima o poi ti sarebbero arrivati.
Fine. Ho dato anche molti dei miei diritti agli altri Stooges, così, per essere amichevole. Adesso tu hai tutta questa gente che si siede comodamente in casa propria e dice: “Ok, io canto bene, ho una macchina per fare isample, una drum machine e ho Apple Garage con cui posso fare il mio disco. Posso fare tutto e essere una piccola rockstar. Ho un buon avvocato e so tutto di proprietà intellettuale, digital airplay, collezioni”. Oggi gli artisti sono più consapevoli e non vengono annientati dalle case discografiche. Ma la magia se n’è andata. È così, non ci puoi fare niente».
Infatti quando vai a un concerto oggi, quasi sempre sai cosa vedrai: non c’è più quel senso di pericolo in cui tutto può succedere.
«Esatto. Io dopo ogni concerto dovevo vivere le conseguenze di quello che succedeva ed era veramente molto doloroso. Ma questo non era un problema del pubblico ovviamente. È il mio lavoro: dare la vibrazione giusta, no? Questa è l’idea e poi tu ci metti dentro tutta la tua sofferenza. E poi, se vivi abbastanza, finisci con questa vista meravigliosa (indica il panorama dalla finestra)».
Comunque, un tempo anche chi ballava nelle prime file rischiava...
«Sì, adesso tutto è diventato molto più sicuro».
Forse oggi questa emozione la puoi provare con alcuni artisti della scena “trap”: penso a tipi come XXXTentacion che, infatti, è morto a 20 anni anche se per motivi che non c’entrano nulla con la musica (è stato ucciso da un rapinatore, ndr).
«Amo quella roba. Suonavo sempre XXXTentacion nel mio show (Iggy Pop dal 2015 tiene un fantastico programma di due ore ogni venerdì su BBC Radio 6 intitolato Iggy Confidential, ndr), suonavo Lil Purp, Lil Peep, tutti quella della SoundCloud Trap (la parte più innovativa e di strada della trap, ndr): mi piacciono un sacco! Mi piacciono perché sembra che non gliene freghi un cazzo, ed è davvero rinfrescante per le tue orecchie una cosa simile».
Sì, sono gli unici che ti danno quella sensazione di “verità”. Però usano droghe pesantissime, soprattutto antidepressivi, il che probabilmente è il segno dei tempi: codeina, ketamina...
«La ketamina è una droga veramente
molto forte. L’ho presa una volta e non potevo più ricordare chi ero...».
Sapevi che era ketamina?
«No, credevo fosse cocaina. Ne ho sniffata tantissima e a un certo punto non sapevo più chi cazzo fossi. E poi la mia visione del mondo ha iniziato a distorcersi in verticale, proprio come in quelle vecchie tv quando andavano fuori sincrono».
Oh, my God!
«Mi sono quasi fottuto il cervello. Io non ero un esperto di quel tipo di droghe. Una volta ho preso l’MDMA, l’ecstasy quando nessuno sapeva bene cosa fosse, credo fosse nel 1975: ho fatto l’amore con questa donna per tre o quattro giorni ed ero euforico senza alcun motivo. Quando è finito l’effetto mi sono detto: “Questa roba è pericolosa: non voglio farlo di nuovo...”. Però, sai, è una cosa che non ha mai fine: ci sono questi ragazzi, sono giovani, non sanno ancora bene chi sono, ma vogliono fare qualcosa di esotico, di espressivo, di drammatico con le loro vite e le droghe sono la prima scelta per trasportarsi fuori dalla banale, schifosa situazione in cui si trovano. Poi però capiscono che devono uscire anche da quello e non è facile. Ma ci sono anche persone che non hanno mai preso droghe che probabilmente riescono a diventare i migliori di tutti perché uniscono il talento all’essere sobri. Gente come, che so, Dave Grohl. Lui non ha mai avuto di questi problemi: l’ho incontrato quando avevo 43 anni e stavo facendo un tour acustico per il mio album Brick By Brick, lui era giovanissimo, suonava ancora nella sua punk band, gli Scream, e dovevano suonare anche loro.
Sono venuti al mio soundcheck e mi hanno detto: “Conosciamo tutte le tue canzoni, possiamo accompagnarti?”.
“Ok”. E lui era già un batterista incredibile: aveva quel suono, quel ritmo... Non ero per niente sorpreso quando, qualche anno dopo, è entrato nei Nirvana!».
La differenza tra la tua generazione e quella odierna è che, mentre la vostra musica diceva “Search & Destroy”, i trapper sembrano cantare una società ripiegata su se stessa.
«Ma sai, anch’io cantavo cose come No fun (“Nessun divertimento”) o, in 1969, “ It’s another year/ For me and you/ Another year/ With nothing to do”
(“È un altro anno/ Per me e per te/ Un altro anno/ con niente da fare”) ma non devi lasciarti stendere, crogiolarti in quella sensazione.
In Gimme Danger dico che “non c’è niente che resti vivo a parte un paio di occhi vitrei”, era come se sentissi di aver perso ogni tipo di sentimento, eppure da quelle parole stavo tirando fuori qualcosa. Certo, ho passato brutti momenti e a volte faccio brutti sogni. Ma ancora oggi mi piacciono le ragazze pericolose».