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 2019  settembre 08 Domenica calendario

Stockhausen per chi non c’era

Nel 1991 Karlheinz Stockhausen, il mistico showman dell’avanguardia musicale, ricevette l’incarico di scrivere un quartetto per archi per il Festival di Salisburgo. Essendo Sotckhausen, propose il Quartetto per archi in elicottero, in cui i musicisti suonano mentre volteggiano a bordo di elicotteri. L’opera rappresenta anche una delle scene del ciclo lirico in sette parti Licht, scritto fra il 1977 e il 2003. L’idea di spendere soldi pubblici per un’esibizione musicale in elicottero non andava a genio al Partito verde austriaco, che attaccò il progetto definendolo uno spreco.
Di fronte alle difficoltà politiche e finanziarie, Salisburgo si tirò indietro e la prima dell’opera andò in scena all’Holland Festival di Amsterdam, nel 1995. Io c’ero e ricordo che trovai l’esperienza singolare ma in definitiva monotona: un’orgia di tremoli che si contendevano spasmodicamente la scena con il frullio delle pale del rotore. Questa primavera l’Holland Festival ha rappresentato nuovamente l’opera, nel contesto di una rassegna di tre giorni di scene del Licht. Il quartetto rimane tedioso, ma altri episodi del ciclo sono talmente ricchi di meraviglie che tutti i dubbi svaniscono.
L’accusa di dispendiosità merita di essere presa in considerazione. La produzione dell’Holland Festival, intitolata Aus Licht, riflette una certa tendenza al gigantismo nelle moderne arti sceniche: spettacoli multimediali che spesso rimangono impressi più per la maestosità pura e semplice che per la coerenza artistica. Un esempio tipico del genere è Everything that Happened and Would Happen di Heiner Goebbels, rappresentato recentemente al Park Avenue Armory, una disordinata meditazione sulla guerra che assomigliava più a una prova tecnica che a un prodotto finito, con teli sollevati, abbassati e trascinati in giro a casaccio. Ormai esiste un circuito internazionale per questa estetica della vastità, che usa spazi cavernosi come l’Armory, la Tate Modern e la Jahrhunderthalle di Bochum, in Germania. Aus Licht è stato rappresentato nel Gashouder, un ex gasometro all’interno del parco culturale Westergasfabriek, nella parte nordoccidentale di Amsterdam. È una tendenza che tradisce una certa ansia per la sorte dell’arte tradizionale in un’epoca di cultura televisiva: il presupposto sembra essere che solo qualcosa di colossale può sperare di convincere il pubblico ad alzare lo sguardo dai suoi dispositivi portatili.
Nel caso di Stockhausen, però, il colossale è indispensabile.
Aus Licht si è rivelato una di quelle meraviglie inesplicabile che aspetti metà della vita per vedere. È stata una cosa da brividi, non solo nei suoi momenti più straordinari – i trombettisti che intonano una corale dalle balconate, gli ottoni che ingaggiano scaramucce militaresche in mezzo al pubblico, voci angeliche che cantano una liturgia extraterrestre – ma anche nei suoi passaggi inaspettatamente intimi, nei suoi squarci sull’infanzia devastata del compositore. Aus Licht è stato uno dei grandi eventi teatrali del nuovo secolo; e sarebbe stato ancora più grande senza quella follia aerea. Le opere di Licht, in tedesco, hanno i nomi dei giorni della settimana. La prima della serie è stata Donnerstag ( giovedì), rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano nel 1981. L’ultima è stata Mittwoch (mercoledì), andata in scena per la prima volta a Birmingham, in Inghilterra, nel 2012, cinque anni dopo la morte di Stockhausen. Inizialmente quelli dell’Holland Festival speravano di poter mettere in scena tutte le opere, ma gli ostacoli logistici si sono rivelati insormontabili. Alla fine hanno optato per affidare a un team di produzione guidato dal regista franco-libanese Pierre Audi quindici ore di estratti, poco più della metà del ciclo. La direzione musicale è stata affidata alla flautista olandese Kathinka Pasveer, che ha vissuto e lavorato con Stockhausen. La Pasveer ha trascorso tre anni a supervisionare un esercito di circa quattrocento musicisti, per la maggior parte studenti del Conservatorio reale dell’Aja. In pratica si sono laureati in Stockhausen.
Licht non ha una trama convenzionale, anche se ha una complessa mitologia, che Stockhausen aveva ricavato da varie tradizioni religiose e pratiche esoteriche, come la teosofia e l’antroposofia. I suoi personaggi principali sono le figure archetipiche di Michele, Lucifero ed Eva, che rappresentano le forze cosmiche della creazione, della ribellione e della rinascita. Questi ruoli, oltre che dai cantanti, sono interpretati dai musicisti solisti, che devono memorizzare le loro parti ed eseguire coreografie attentamente studiate. Lo strumento primario di Michele è la tromba, quello di Lucifero il trombone, quello di Eva il corno di bassetto. I cori, i fiati, le percussioni e parti di musica elettronica si gettano a loro volta nella mischia. Aus Licht comincia con due grandi scene da Donnerstag: La giovinezza di Michele e Il viaggio di Michele intorno alla Terra. Un aspetto autobiografico diventa subito evidente. L’infanzia di Stockhausen fu un incubo: suo padre, un maestro di scuola che aveva sposato l’ideologia nazista, fu ucciso sul fronte orientale, e sua madre, che soffriva di depressione, venne assassinata nell’ambito del programma di eutanasia nazista. Intorno ai diciassette anni, quando era un inserviente medico che accudiva soldati sfigurati e agonizzanti, Stockhausen era diventato un orfano. Nell’opera, il personaggio di Eva riceve un’iniezione letale mentre il personaggio di Lucifero sbraita slogan come « Sacrificio per la patria!». Michele, che è la controfigura del compositore, si rifugia in un mondo di invenzione musicale e virtuosismo. Supera trionfalmente gli esami e si lancia in una tournée mondiale, esplorando le tradizioni musicali di America, Giappone, Bali, India, Africa centrale e Israele. Stockhausen si fece un nome negli anni Cinquanta, con opere di estrema densità e complessità. In Licht adotta uno stile più spazioso, rilassato. Tutta la partitura è basata su un’unica “ superformula”, che fornisce materiale tematico per i tre protagonisti. Anche se il metodo compositivo è collegato al serialismo di metà Novecento, la formula tende a produrre motivi all’apparenza tonali, con il tema di Michele che aleggia intorno al re minore. Questa armonia del tardo Stockhausen si palesa in modo sbalorditivo nel finale del Viaggio di Michele: corni, tuba e tam-tam emettono accordi da sirena antinebbia, mentre la tromba si lancia in un’elegante e agile melodia colorata di jazz. Licht include molti intervalli di caos dissonante, ma lo spirito generale è onnicomprensivo. La ricchezza estatica della musica ricorda la religiosità sovraccarica di Olivier Messiaen, che insegnò a Stockhausen per un certo periodo.
La seconda giornata di Aus Licht è focalizzata su Lucifero, che conformemente con la dottrina teosofica è una figura ambigua, che reca con sé la conoscenza del bene e del male. La sua scena più sfiancante è La danza di Lucifero, da Samstag (sabato), dove presiede una banda di ottoni da ottanta musicisti. I suonatori sono disposti in una formazione verticale che ricorda un volto umano. La partitura impone loro di ondeggiare gli strumenti avanti e indietro, per trasmettere la sensazione di un sopracciglio o una bocca che si contraggono. Stockhausen si ispirò alle bande musicali americane, che suonano marciando; nel 1984 la banda sinfonica dell’Università del Michigan partecipò alla prima di Samstag.
La scena si conclude in un baccanale artistico per l’orchestra completa, con i bassotuba che barriscono una
parte del tema di Lucifero. Come nel Paradiso perduto di Milton, Lucifero emerge come una figura affascinante. L’ultima giornata comincia con una battaglia finale tra Lucifero e Michele ( Invasione – Esplosione, daDienstag, martedì) e finisce con scene di riconciliazione tratte da Mittwoch e Sonntag ( domenica). In Parlamento mondiale un coro esprime una politica dell’amore. In Finalisti orchestrali, i solisti si lanciano in una chiassosa competizione. I membri del Quartetto Pelargos si sollevano da terra per il Quartetto d’archi in elicottero. Infine,
Processioni angeliche offre una tessitura di voci non accompagnate di straordinaria espressività: piccoli gruppi corali della Cappella Amsterdam procedono attraverso il Gashouder cantando in hindi, cinese mandarino, spagnolo, inglese, arabo, kiswahili e tedesco, mentre un coro generale invisibile emette una nebbiolina galleggiante di armonia statica. Una coda che dimostra che Stockhausen non era soltanto un maestro dello spettacolo stravagante, ma anche un compositore di impeccabile bravura. La luminosa complessità della sua scrittura rimanda alla polifonia rinascimentale, tenendo fisso lo sguardo, al contempo, verso un paradiso futuro. La produzione di Pierre Audi non ha offuscato il ricordo del Mittwoch di Birmingham, dove il regista, Graham Vick, aveva messo in piedi un esorbitante circo psichedelico. In Parlamento mondiale e in Finalisti orchestrali, i musicisti di Amsterdam non hanno raggiunto l’esuberanza spregiudicata dei loro colleghi di Birmingham. Per altro verso, però, l’approccio di Audi è sembrato più integrato, più in sintonia con la visione spirituale del compositore. L’atmosfera era più meditativa che carnevalesca. Licht non è soltanto beatitudine ultraterrena. La visione del mondo di Stockhausen ha i suoi aspetti sinistri. Il suo ritratto di Eva ricicla stereotipi romantici dell’eterno femminino, e il suo appello a produrre « esseri umani più sani, più belli, più musicali » puzza di eugenetica di inizio Novecento ( come sottolinea Robin Maconie nel suo libro Other Planets, l’autorevole studio in lingua inglese su Stockhausen).
Audi, gli va riconosciuto, non ha scelto di occultare gli aspetti inquietanti. La scena in cui un pifferaio magico guida un coro di bambini nell’aldilà è raccapricciante, anche se si conclude con la maestosa immagine dei bambini che sollevano le braccia come uccelli. La messa in scena di Invasione – Esplosione fa leva sulla violenza militaristica insita nelle composizioni per ottoni di Stockhausen: squadre di trombettieri e trombonisti bardati in abiti militari e dotati di sordine come armi di riserva corrono su e giù nel buio tra le file di poltrone, in mezzo al pubblico. Ogni volta che Aus Licht minacciava di degenerare nel rituale da setta, esplodeva la gioia senza freni della creazione musicale. Insieme ai tableaux ieratici mi rimarranno in mente per molto tempo le virtuosistiche esibizioni dei solisti, che conferivano a questo mondo sovrumano un’immediatezza umana. Jerome Burns ha sbruffoneggiato brillantemente attraverso quel concerto per tromba che è Il viaggio di Michele; Pia Davila ha infuso un calore fortemente drammatico nel personaggio di Eva; Marta Gómez Alonso ha apportato una precisione appassionata al prolungato assolo di flauto della Canzone di Kathinka. Più di una volta ho visto membri della compagnia fuori dal teatro, che attiravano gruppetti di ammiratori. Prima di Processioni angeliche i cantanti, vestiti di un bianco utopico, rispondevano alle domande degli spettatori. Lì vicino, nel parco, c’era un gruppo di persone in cerchio che battevano sui tamburi e per un momento ho pensato che anche quel gruppo si stesse preparando per il Licht. Lo scarto fra realtà e Stockhausen non è così ampio come sembra.


©2019 Alex Ross. L’articolo è apparso su The New Yorker il 24 giugno 2019 (Traduzione di Fabio Galimberti)