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 2019  settembre 08 Domenica calendario

E Dio creò la Bibbia


In un’opera che si intitola Lettera di Aristea, l’autore racconta a un certo Filocrate di essere stato testimone diretto di quanto sarebbe avvenuto ad Alessandria sotto il regno di Tolomeo II, nella prima metà del III secolo a. C.: allorché fu realizzata la traduzione greca delle Scritture degli Ebrei, ossia la versione che assunse il nome “ dei settanta”, perché redatta da settanta, o settantadue, traduttori. Dal punto di vista storico la Letteracostituisce certamente un falso; ma dal punto di vista narrativo e culturale questo testo è prezioso. Vi si racconta infatti di come Tolomeo, su impulso di Demetrio del Falero, suo consigliere, avrebbe inviato un’ambasceria a Gerusalemme per ottenere i rotoli delle Scritture e con loro un gruppo di qualificati traduttori; di come costoro, in numero di settantadue, giunti ad Alessandria avessero proceduto a tradurre in greco il testo ebraico; di come avessero puntigliosamente discusso insieme il loro lavoro e di come il risultato di questa grande impresa filologica fosse stato presentato a Tolomeo, che molto lo lodò. Grande impresa filologica, si è detto, degna della città in cui si era svolta, Alessandria, madre di ogni disciplina testuale. Ma questo poteva essere abbastanza? Sicuramente no.
Le Scritture ebraiche, alla cui traduzione i dotti si erano dedicati, non erano infatti un testo qualunque, ma la parola stessa di Dio. Di un dio che, a differenza di ogni altra divinità conosciuta nel mondo antico, si era espresso direttamente “ per iscritto”. Quel testo aveva Dio stesso come autore – tradurlo in una lingua diversa da quella originale costituiva un atto di enorme responsabilità. Come dirà Gerolamo, altro gran traduttore del testo sacro, in esso « persino l’ordine delle parole è mysterium », nel senso che contiene verità profonde e di enorme importanza. Di questo fu ben consapevole Aquila romano, un altro traduttore greco della Bibbia, il quale risultò così rispettoso del dettato originale da produrre, alla fine, un testo goffo e incomprensibile. Come porre rimedio a questo serissimo problema? Come si poteva essere sicuri di non “ tradire”, traducendola, la parola divina? Dove non arriva la filologia, però, può arrivare il mito. E il primo a pensarci fu Filone di Alessandria, un giudeo vissuto a cavallo dell’era volgare. Secondo Filone, dunque, i dotti avrebbero tradotto ognuno l’intero testo sacro. E quando, finita l’opera, essi misero a confronto il loro lavoro, oh meraviglia! Si scoprì che ciascun traduttore aveva usato le stesse identiche parole greche per rendere le corrispondenti parole ebraiche. Questa miracolosa coincidenza non si poteva spiegare se non presupponendo che Dio stesso avesse ispirato il lavoro dei dotti – per così dire, Dio si era autotradotto. Date queste premesse, non si sarebbe certo potuto accusare di infedeltà, o di fraintendimenti, la versione greca delle Scritture: il lavoro dei traduttori alessandrini ( che non a caso Filone definisce “ profeti”) risultava essere parola divina tanto quanto lo era l’originale. Questa invenzione di Filone ebbe grande fortuna. Non solo perché ad Alessandria vi erano molti giudei che, non comprendendo l’ebraico, avevano necessità di potersi “ fidare” totalmente della versione greca della Bibbia che avevano a disposizione; ma soprattutto perché, di lì a poco, sarebbero venuti i cristiani, per i quali era ugualmente necessario disporre di un testo biblico autorevole che non fosse però quello ebraico. I padri della chiesa – Ireneo, Giustino, Clemente di Alessandria – arricchiranno dunque il racconto di sempre nuovi particolari. Per rendere ancor più degno di fede il miracolo, si narrerà per esempio che i settanta traduttori erano stati rinchiusi in altrettante cellette, di cui ancora si mostravano i resti nell’isola di Faro, per tenerli separati l’uno dall’altro ( e quindi allontanare il sospetto che la coincidenza testuale fosse dovuta a contaminazione). Quanto all’evento meraviglioso in sé, che cosa c’era poi di così stupefacente? Si chiederà Ireneo. Qualcosa di simile era già avvenuto in passato, allorché, al tempo del re persiano Artaserse, i libri sacri degli ebrei erano andati distrutti. In quella circostanza Dio ispirò il profeta Esdra affinché in quaranta giorni, dettando ininterrottamente a cinque scribi, ricostituisse il corpus completo delle Scritture. Nell’immaginazione di Ireneo, insomma, il testo sacro è “lì”, virtuale, come oggi diremmo, e la volontà divina poteva dunque “ scaricarlo” a suo piacimento in formati diversi. Che anzi, aggiungerà Epifanio di Salamina, la Bibbia dei Settanta costituiva addirittura un testo superiore a quello posseduto dagli Ebrei. Perché, spiegava, non solo i traduttori «se avevano aggiunto qualcosa, lo avevano fatto tutti nello stesso punto; e se qualcosa avevano tolto, lo avevano tolto tutti assieme » ; ma soprattutto « ciò che i traduttori avevano tolto era superfluo, e ciò che avevano lasciato era necessario » . Insomma, la Bibbia greca costituiva niente meno che un’edizione emendata della parola di Dio. Il mito della traduzione perfetta, come ormai dobbiamo chiamarlo, continuò ad avere grande successo fra i cristiani. Agostino, strenuo sostenitore dei settanta contro l’impresa che stava compiendo Gerolamo, con la sua traduzione latina del testo ebraico, non solo riaffermerà la propria fiducia nella divina ispirazione dei traduttori greci; ma aggiungerà che, qualora si dovesse constatare che in qualche punto la traduzione greca discordava dal testo ebraico, questo non costituiva un problema, anzi.
Si trattava infatti di testi “ entrambi” ispirati, sia quello ebraico sia quello greco, ragion per cui la discordanza non poteva che essere voluta da Dio: al fine di stimolare e approfondire l’interpretazione del testo. Solo Gerolamo non ne volle sapere di accettare questo mito. «Altro è essere profeta » aveva scritto «altro essere traduttore » . Quanto al racconto dei settanta dotti ispirati, per Gerolamo si trattava semplicemente di una “ menzogna”. Ma la vicenda non era ancora terminata, se nel 1870 il Concilio Vaticano I, ribadendo un decreto del Concilio di Trento, scaglierà anatema contro chi non ritenesse “ ispirati” i libri della Scrittura: questa volta pronella versione latina di Gerolamo.