Robinson, 8 settembre 2019
Amin Maaluf e il tramonto di civiltà
Sono nato in buona salute tra le braccia di una civiltà morente, un privilegiato, come quei personaggi cinematografici che passano attraverso strade dove crollano tutti i muri, eppure ne escono indenni, scuotendo la polvere dei propri vestiti, mentre dietro di loro la città intera è solo un mucchio di macerie». È il potente incipit di Il naufragio delle civiltà di Amin Maalouf, il settantenne giornalista scrittore libano- francese, membro dell’Académie française, che è stato per decenni eccezionale cronista del mondo arabo e l’autore di Leone l’Africano, il romanzo sulla vita del grande geografo rinascimentale che lo ha fatto conoscere in tutto il mondo. Il set è il Medio Oriente (una volta chiamato il Levante), paradiso cosmopolita in cui ad Alessandria d’Egitto nascevano Kavafis e Ungaretti, Verdi scriveva l’Aida su commissione del kedivè del Cairo e il principe hashemita Faisal, il futuro primo presidente di Israele Chaim Weizman e Lawrence d’Arabia si facevano fotografare insieme alla conferenza di pace di Versailles. Un mondo che aveva prodotto anche My Way: « la canzone emblematica di Frank Sinatra era stata originariamente scritta per Claude François, francese di origine egiziana, prima di essere adattata in inglese da Paul Anka, un americano di origine siro-libanese » . Come è potuto succedere che ora, su quel pezzo fortunato del pianeta « siano scese le tenebre » , venga ogni giorno superato il limite dell’orrore videotrasmesso, la convivenza si sia trasformata nel fanatismo omicida delle nuove tribù, l’unica prospettiva del mondo arabo sia il culto della morte e del suicidio, « nel nome di un lugubre Stato Islamico»?
Il libro di Maalouf – intriso di malinconia e non consolatorio su una possibile happy end – è, insieme, memoria giornalistica e tentativo di razionalizzazione. La riflessione di Maalouf è questa: nel 1979 – per uno Zeitgeist pre Internet – in vari angoli del mondo si misero le basi per la distruzione del fondamento delle civiltà. In Inghilterra, Margaret Thatcher spiegò che il capitalismo è tale solo se è egoista, in America Ronald Reagan convinse i suoi elettori bianchi che potevano diventare più ricchi se solo il governo smetteva di pagare sussidi ai negri fannulloni – idea che prese il nome di “ liberismo” o “fine del welfare state; in Cina Deng Xiao Ping proclamò che era meglio arricchirsi che essere comunisti; a Mosca il comunismo storico ( breve vita la sua, ma così nefasta per il mondo arabo) crollava sotto il peso della sua arroganza militare in Afghanistan; da una villetta alla periferia di Parigi un vecchio prete tradizionalista e autoritario ( lo sconosciuto ayatollah Khomeini) guidava la più incredibile rivolta vittoriosa contro la modernità in nome di un autoritarismo medievale. Tutti questi fenomeni si autoproclamavano come “ rivoluzioni”, dell’economia, della religione, addirittura della filosofia. Erano in realtà “regressioni” che avvicinavano il mondo verso il naufragio delle civiltà, le loro prima di tutto, e tutte le altre che venivano in contatto con loro. Peraltro, in quel 1979 un tale Osama bin Laden, compiuti 22 anni, aveva deciso di condurre una vita attiva.
Il libro è molto bello per la forza emotiva che Maalouf trasmette e per la sua pacatezza post ideologica (l’autore, di origini cristiane, è stato attratto – non per molto – dal comunismo sovietico e ha girato il mondo come giornalista della rivista progressista Jeune Afrique). Spesso, quando racconta di cose personalmente vissute, ha la forza narrativa di Tiziano Terzani e di Ryszard Kapu?ci?ski: squarci di cronaca che ci portano al Cairo nella giornata del 5 giugno del 1967 in cui i giornali annunciarono che l’aviazione israeliana era stata distrutta ( ma era il contrario), a Tel Aviv nel settembre 1982 con gli israeliani che manifestarono contro il loro governo per quello che era successo a Sabra e Chatila; a Teheran agli albori della rivoluzione senza gioia. Dei vari momenti di grande giornalismo, ne scelgo uno. Il giovane Nasser ha preso il potere, la folla è entusiasta. Lui racconta in pubblico che il leader dei Fratelli Musulmani lo ha voluto incontrare per trovare un terreno d’intesa. « E sapete cosa mi ha chiesto? Che imponessi il velo in Egitto, che ogni donna che usciva per strada si coprisse il capo!». Una grande risata scuote la stanza, voci si alzano per ridicolizzare i Fratelli. Nasser è allegrissimo: « Gli ho detto: hai una figlia che studia Medicina e lei non è velata. Tu non riesci a far indossare il velo a una sola donna, tua figlia, e vorresti che io scendessi in strada per imporre il velo a dieci milioni di egiziane?». Tutti sghignazzano, Nasser ha un accesso di fou rire, beve un bicchiere d’acqua per riprendersi e continua: « E sapete cosa mi ha chiesto anche? Che le donne non devono più lavorare, che cinema e teatri devono essere chiusi, in poche parole che l’oscurità deve dominare ovunque…». Di nuovo, risate.
Eravamo al Cairo, appena sessanta anni fa; la tolda del Titanic era niente, al confronto.