il Fatto Quotidiano, 9 settembre 2019
In Italia gira troppo contante
In Italia gira un sesto di tutto il contante dell’eurozona: oltre 205 miliardi sui 1.300 in circolazione. A spingere la crescita del fenomeno è soprattutto la diffusione dell’evasione fiscale e delle mafie, che per nascondersi e riciclare hanno un bisogno vitale di cash. Banca d’Italia infittisce i controlli, ma per asciugare davvero il fiume di denaro dove sguazzano criminali ed evasori occorrono leggi più severe.
L’ultima stretta l’ha decisa l’Unità di informazione finanziaria (Uif), l’autorità antiriciclaggio della Banca d’Italia. Da lunedì 2 settembre tutte le banche e gli intermediari finanziari dovranno monitorare mese per mese l’uso dei contanti dei clienti e comunicare alla Uif tutti i movimenti in entrata o uscita, anche frazionati, pari o superiori a 10mila euro. Il nuovo obbligo è stato previsto nel 2017 con le modifiche al testo base delle norme antiriciclaggio, ma è stato introdotto dalla Uif il 28 marzo. Banche, assicurazioni, intermediari, professionisti e commercianti restano comunque obbligati a inviare alla Uif le segnalazioni di operazioni sospette di riciclaggio (“Sos”) per transazioni di importi anche inferiori, e non solo in contanti, in caso di “anomalie” rispetto all’operatività “normale” dei clienti, così come resta in vigore il divieto per i privati di usare i contanti per transazioni pari o superiori a 3mila euro.
Il fatto è che in giro c’è sempre più cash. Secondo la Bce, dall’introduzione dell’euro (gennaio 2002) al luglio scorso il numero di banconote in euro in circolazione nell’Eurozona è triplicato da quasi 7,9 a 23,1 miliardi di pezzi, mentre il loro valore è più che quintuplicato passando da 221,5 a 1.251 miliardi. Nello stesso periodo, sono quasi quadruplicate da 38,1 a 133,4 miliardi le monete, il cui valore è più che raddoppiato da 12,3 a 29,6 miliardi. Dal 2002 al 2017 il valore del contante in percentuale sul Pil dell’area dell’euro è così più che raddoppiato, mentre nello stesso periodo negli Usa è aumentato “solo” del 20%. Lo spiega Michele Gianmatteo dell’Uif nello studio “L’uso di contante e il riciclaggio: un’analisi del caso italiano su dati disaggregati” pubblicato a luglio, che analizza l’aumento della diffusione del contante sul territorio per mappare i rischi di riciclaggio.
L’analisi rileva che l’uso del contante in Italia è assai elevato: nel 2016 il cash è stato usato nell’86% delle transazioni per un valore pari al 68% del totale, contro una media Ue pari rispettivamente al 79 e al 54%. Dietro il fenomeno c’è la pervasività delle mafie: il contante è il mezzo preferito dai criminali. In Italia, le stime sul “valore” dell’economia mafiosa nel 2014 oscillavano dal 2 al 12% del Pil, con la maggior parte delle ipotesi orientate verso la parte alta dell’intervallo: il valore ipotizzato andava dai 27 ai 194 miliardi. Ne discende la somma riciclata: sebbene non si possa dire che tutte le operazioni di “lavaggio” di denaro sporco comportino il contante, si può affermare però che il cash è importante. Secondo Gianmatteo a favorire la diffusione del contante in Italia è stata anche la crisi finanziaria del 2008-2011, che ha spaventato gli investitori spingendoli a privilegiare la liquidita e ha spinto la Bce a una politica monetaria espansiva.
L’analisi è stata condotta sul database dei Rapporti antiriciclaggio aggregati (Sara). La legge antiriciclaggio impone alle banche e agli intermediari di segnalare mensilmente all’Uif, tutte le transazioni superiori a 15mila euro, dopo averle aggregate per filiale, cliente settore e tipo di transazione. Nel 2015, l’anno analizzato, l’Uif ha ricevuto 101 milioni di stringhe di dati, corrispondenti a 329 milioni di transazioni per un valore di 21mila miliardi di euro.
Lo studio dimostra che più cash circola in un territorio, meno cresce l’economia locale e più prospera il “sommerso”. Gianmatteo ha elaborato indicatori di rischio di riciclaggio a livello di singolo comune e provincia: la distribuzione geografica del rischio coincide con i dati sul riciclaggio (il numero di Sos inviati alla Uif), con la presenza di organizzazioni mafiose, confermata dalle indagini dei Ros dei carabinieri, e con gli indicatori di attività criminale (numero di denunce per estorsione, traffico di stupefacenti, riciclaggio e associazione mafiosa). I risultati dell’indagine “accendono” di spie rosse le regioni d’origine delle mafie (Sicilia per cosa nostra, Calabria per la ‘ndrangheta, Campania per la camorra, Puglia per la sacra corona unita) e quelle dove le mafie hanno attecchito: Lombardia, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Emilia Romagna, Umbria, Lazio. L’analisi ha stilato una lista di 100 comuni a rischio riciclaggio e può aiutare a orientare il contrasto della Uif, degli inquirenti e delle banche.
Lo studio della Uif trova riscontro nella quarta edizione annuale dell’Osservatorio Cashless Society, realizzato dal gruppo di lavoro The European House – Ambrosetti, che ha analizzato i dati del 2018 sui pagamenti elettronici e ha messo a punto strumenti per comparare l’Italia con altri Paesi. Tra questi ci sono il Cash Intensity Index (Cii, l’indice di intensità del contante, calcolato come rapporto tra il valore del contante in circolazione e il Prodotto interno lordo), elaborato a partire dal 2016 per misurare l’incidenza del contante su Pil in 85 Paesi, e il Cashless Society Speedometer (Css), un indicatore dinamico che assegna un punteggio su una scala da 0 a 100 a seconda della velocità con la quale ciascun Paese dell’Unione Europea adotta politiche mirate a raggiungere entro il 2025 la cashless society, la società senza contanti.
Secondo l’osservatorio 2019, l’Italia resta tra le 35 peggiori economie al mondo per valore del contante in circolazione rispetto al Pil. Con un aumento che dura da un decennio, nel 2018 il contante in circolazione ha raggiunto i 205,7 miliardi, in crescita del 60% rispetto ai 127,9 miliardi del 2008. Anche il valore dei prelievi al bancomat è più che raddoppiato dai 98 miliardi del 2008 ai 198 miliardi nel 2017. In questo periodo, il tasso medio composto annuo di crescita dei prelievi di contanti dai bancomat è stato pari all’8,1% in Italia, quasi quattro volte maggiore rispetto al 2,1% in Germania e incomparabile rispetto al calo dell’1,3% medio annuo nel Regno Unito.
L’Italia resta così tra i Paesi con la maggiore incidenza del contante sul Pil. Su 95 economie analizzate dall’osservatorio, il nostro Paese è 32° per incidenza del contante misurata dal Cash Intensity Index, con un valore pari all’11,8% del Pil, lo 0,8% in più rispetto alla media dell’Eurozona. L’indicatore di transizione alla società senza contanti (il Cashless Society Speedometer, Css) dimostra che l’Italia non ha una “velocità” adeguata per poter raggiungere l’obiettivo fissato entro il 2025 ma, al contrario, sta addirittura rallentando la propria corsa rispetto ai migliori Paesi europei (Svezia, Danimarca e Regno Unito). Nel 2018 l’Italia ha ottenuto infatti un punteggio calato a 8 dall’8,4 del 2017. A questa velocità, e ipotizzando che gli altri Paesi restino fermi, il nostro Paese raggiungerebbe l’attuale media Ue solo nel 2040, ma se gli altri Paesi procedessero alla loro velocità attuale, l’Italia raggiungerebbe l’attuale media europea solo nel 2110.
L’osservatorio afferma così che “il sistema-Paese necessita di un’azione per disincentivare l’utilizzo del contante e favorire l’emersione del sommerso” e indica tre scenari che consentirebbero di fare emergere entro il 2025 tra gli 11,3 e i 63,5 miliardi di “nero” e recuperare tra i 6 e i 28 miliardi di Iva non dichiarata. In Italia l’economia non tracciata ammonta a circa 210 miliardi l’anno, pari al 12,4% del Pil, di cui 192 miliardi generati dal “nero” e il resto legato ad attività criminali. L’evasione dell’Iva ammonta a 35,9 miliardi, pari al 25,9% del totale riscuotibile e al 2% del Pil, il record nell’Unione Europea, anche se è lievemente diminuita rispetto al picco del 2013 quando valeva 40,4 miliardi. Per realizzare questi obiettivi, conclude l’indagine dello studio Ambrosetti, non bastano maggiori controlli: occorre che il legislatore torni ad abbassare la soglia del divieto all’uso del contante per i privati ai livelli precedenti al 2016, quand’era fissata a 1.000 euro rispetto ai 3mila attuali.