Corriere della Sera, 9 settembre 2019
Il rigattiere convinto di avere un Picasso
POMPEI (Napoli) Una passata di spazzolone, una lavata con la pompa dell’acqua e via, a chiamare la moglie: «Che dici Annina, ti piace?». «Ma Luigi, che è ‘stu sgorbio?». Luigi Lo Rosso all’epoca era un giovane rigattiere e aveva trovato la tela arrotolata fra le cianfrusaglie di una discarica. Anno 1962, la Capri della dolce vita, artisti, attori, fermento. Lui era lì a lavorare perché a Pompei «teneva» famiglia. Senza entusiasmi, la moglie lo appese vicino alla credenza.
È l’inizio della lunga storia di un quadro, «Volto di donna», e di una famiglia, i Lo Rosso appunto, che ha vissuto per quasi mezzo secolo in funzione di quel quadro. Un’altalena di sogni e delusioni dove entrano in gioco personaggi di vario ordine e grado: esperti d’arte, millantatori, periti di vaglia, tre poliziotti, fra cui un campione olimpico di canottaggio, e pure una ventina di carabinieri che hanno animato un’indagine giudiziaria tenuta sempre segreta e culminata lo scorso anno con un sequestro e dissequestro della tela. La ragione di tanto interesse è nella firma: Pablo Picasso.
«Ammetto la mia ignoranza, ma io davvero non sapevo chi fosse Picasso quando me lo sono portato a casa», garantisce oggi l’ottantunenne Lo Rosso, una mano che sembra una morsa. Ma andiamo con ordine. L’unico «Volto di donna» conosciuto, appartenente a una collezione privata, è datato 1941. Gli esperti dicono che è il ritratto cubista di Dora Maar, l’artista e musa di Picasso, con la quale il maestro ebbe una relazione fra il 1935 e il 1943. «Io pensai dunque che il nostro fosse una copia – racconta il figlio Andrea, oggi 56enne titolare di un locale nel centro di Pompei, l’Old West, mentre mostra le foto dei vecchi Natali in casa Lo Rosso con il Picasso sullo sfondo —. Ma a farmi cambiare idea furono vari fatti».
Come la perizia dell’istituto di diagnostica dei beni culturali della Fondazione Cesare Gnudi: «Si ipotizza che sia stato eseguito dopo la seconda metà degli anni 30 – conclusero quelli nel 2005 —. La firma è compatibile con le opere di Picasso». Il documento alimentò le speranze di Andrea, di suo fratello Adriano e dell’intera famiglia. Che prese a sognare. Intanto, se ne andarono i primi duemila euro.
Arrivò poi lo studio del laboratorio di analisi chimiche Palladio, richiesto da un potenziale acquirente: «I materiali coincidono con quelli utilizzati dall’artista, la firma non presenta anomalie». Fattura: cinquemila euro. «Ma l’interessato voleva la benedizione della Fondazione Picasso di Parigi, che è il vangelo, ma costa anche 300 mila euro. Nossignori, adesso basta, e pensai che fosse tutta una truffa. Perdevo giorni di lavoro, soldi, mia moglie una furia». Il dubbio sul suo Picasso però gli rimase e passata a nuttata riprese a viaggiare per il mondo con la tela (53 x 39 centimetri) e con il fratello. Milano, Londra, Parigi. Fino al 2018, quando succede l’imprevisto. «Avevo conosciuto il professor Maurizio Seracini (fondatore di Editech, primo centro diagnostico per i beni culturali in Italia, ndr), lui sì serio e disponibile. Gli ho fatto vedere il quadro per farci uno studio, 15 mila più Iva il preventivo. Ero andato nel suo studio di Firenze con tre amici poliziotti». C’era un dirigente e pure Salvatore Amitrano, l’ex campione olimpico di canottaggio delle Fiamme Oro. «Lo abbiamo accompagnato in treno», conferma Amitrano, anche lui seduto al tavolo di casa Lo Rosso. Al ritorno da Firenze, la sorpresa. «In stazione veniamo circondati da 25 carabinieri: fermi tutti, dobbiamo andare in caserma. Mi hanno preso il Picasso!». Il motivo? «Ricettazione», riporta scritto il decreto firmato dal pm Sergio Raimondi. Un mese dopo, il giudice del Riesame ha però dissequestrato l’opera. Nel frattempo Seracini ha concluso che «i materiali sono compatibili con un’esecuzione successiva agli anni Venti, ma la datazione della tela è da far risalire agli anni Sessanta». Anni Sessanta, primo inghippo. Ad assistere Lo Rosso sono poi arrivati l’esperto d’arte Luca Marcante e l’avvocato Cesare Dal Maso. «Io penso che l’opera sia autentica e contatterò la Fondazione», promette Marcante, che ha consigliato un piccolo restauro («costo 10 mila euro», precisa Lo Rosso), e il deposito nel caveau dell’Apice di Milano dove vengono conservate le opere d’arte. «Dotto’, che ne pensate?», ci chiede il signor Luigi. “Risolverebbe tanti problemi, se fosse autentico. Ma se è una crosta?”. Andrea sospira, il fratello piega la bocca, Amitrano tace. Luigi, vecchio saggio, toglie tutti dall’imbarazzo: «Signori, io dico: o la va o la spacca». Un film.