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 2019  settembre 08 Domenica calendario

Intervista a Sabrina Salerno

Alla fine sembra una Wonder Woman (“Davvero? In realtà le amiche mi chiamano così”); dal lunedì al giovedì Sabrina Salerno vive in provincia di Venezia, vita agiata, borghese, sposata da venticinque anni, un figlio di quindici (“studioso”), la palestra, gli impegni famigliari, varie ed eventuali; dal giovedì alla domenica si trasforma, parte per la Francia (“lì mi credono una di loro”), quindi pantaloni di pelle, forme in vista, e che vista, concerti (“solo nel 2019 sono a circa 150”), interviste, televisioni, applausi, hotel, aerei, autisti, adrenalina e autografi: una vera star; come se il tempo fosse ancora immobile agli anni Ottanta, quando costruiva la sua immagine iconica, quando i suoi pezzi toccavano la vetta delle classifiche (“In Inghilterra sono arrivata terza dietro Michael Jackson e Madonna”) e le copertine patinate con lei in mostra strappavano sogni agli uomini. Eppure ha delle fragilità celate, la necessità dei confini, di mascherarsi dietro l’apparenza, e così dopo il “piacere” di rito, piazza i paletti: “È in ritardo di venti minuti”. A Venezia c’è il Festival. “È comunque in ritardo”. Non fa una piega.
Donna precisa.
Eh, un po’ (sorride).
Vive distante dallo show business.
E da anni: abitare lontano dai grandi poli di attrazione è stata ed è la mia salvezza, e poi non sopporto i luoghi affollati, i ristoranti con i tavolini attaccati l’uno all’altro; non amo le serata di gala…
E i concerti?
È lavoro, altra dimensione.
Ha delle timidezze.
Una parte è così, l’altra è molto aggressiva.
È bella.
Mi piaccio maggiormente adesso, con l’età ho imparato a rapportarmi con il fisico, lo accetto e ci gioco; negli anni Ottanta ero ossessionata dall’immagine, non mi vedevo mai bella, solo difetti.
Insomma, oggi?
Me ne frego. A quel tempo piazzavo perenni muri, andavo in crisi anche per le interviste: non sapevo cosa e come raccontare, non volevo che la gente percepisse la fragilità.
Sorrideva poco.
È vero, totalmente in contrasto con il personaggio.
I film del tempo li rivede?
Neanche una volta; so quando vanno in tv solo perché qualcuno me li segnala.
Come mai?
Mi sembrano una realtà lontana, mi appartengono nella misura in cui il pubblico mi vuole vedere immersa in quella veste, ma dentro di me sono distanti.
Altra storia.
Incontro persone che mi recitano le battute a memoria, e ogni volta non riesco a celare lo stupore.
Lei indifferente.
Ma no, neanche le ricordo.
Si divertiva?
Mica tanto; anzi, neanche un pochino, vivevo il tutto con un’eccessiva carica di stress.
Troppo giovane.
A 16 anni sono stata catapultata in un mondo abituato a correre molto veloce, e che non rappresentava esattamente il mio io interiore; per questo ho giocato un ruolo dentro al quale sono rimasta imprigionata.
Quindi?
Ancora oggi continuo a mantenere una parte di quel ruolo perché è giusto e comodo…
Quale parte?
La solarità e l’autoironia.
E la fisicità.
Quella supporta il resto.
Su Instagram lo dimostra.
E lì mi arrivano tantissimi commenti carini, poi c’è un dieci per cento che deborda con proposte assurde.
Tipo?
Non voglio dirlo, lì tocchiamo la follia, gente che pensa di poter comprare tutto. E mi riferisco a gente di potere.
In Spagna un libro con lei presente ha recentemente venduto 400mila copie.
Davvero?
Sì.
Non lo sapevo (e cerca il titolo sul cellulare); da lì è partito il mio successo: nel 1986 ancora vivevano nell’eco del franchismo, prede dell’archeologia sociale.
Cioè?
Quando andavo ospite della loro televisione, trovavo un ambiente tristissimo, e se uscivo su una rivista patinata, i giornalai venivano assediati dalle persone, con code lunghissime.
Addirittura?
Sono entrata nella scia del boom economico e sociale, anzi in qualche modo ho personificato quel periodo, una donna-bambina con le forme del corpo accentuate.
Un fenomeno.
Ricordo una mattina: mi sveglio, colazione, arrivano i giornali e mi trovo sulla copertina di un importante settimanale, e sopra il titolo: “La nuova malattia: la sabrinite”.
E lei?
Stupita ma senza esagerare: a quel tempo alcuni ragazzini erano stati cacciati da scuola perché pizzicati con le mie foto; del “sabrinismo” se ne parlava ai telegiornali.
E oggi?
La Spagna è cambiata tantissimo, anche in peggio: adesso si parla solo di gossip, sono ossessionati, con programmi terribili.
Non la spaventava tutto questo clamore?
Forse sì, ma ci sono momenti nella vita nei quali devi scegliere.
Quanti anni ha suo figlio?
Quindici.
Solo un anno rispetto a quando lei è stata investita dal successo.
(Cambia tono). Oddio, non riesco a immaginarlo. (ci pensa). Non è stata una passeggiata, non è stato facile.
Però…
Ce l’ho fatta; nelle mie fragilità mi ritengo una delle persone più forti che conosco.
Quando oggi sale palco, ha ancora il brivido?
Riesco a convogliare l’ansia dentro la prestazione, la sfrutto per la performance; rispetto a un tempo sono in grado di gestire la situazione, non ho paranoie; comunque in Francia pensano sia una di loro e c’è anche l’Inghilterra.
Top della classifica.
Negli anni Ottanta sono arrivata ai vertici.
Le amiche del tempo come la trattavano?
Non ne avevo tra le coetanee.
Neanche una?
Vivevo in una gabbia dorata, nessuno poteva avvicinarsi, con una serie infinita di filtri che alteravano la realtà; per me era impossibile uscire laicamente con una persona, quindi è stato naturale perdere ogni contatto con i contesti comuni.
Ultima uscita con una coetanea?
A ridosso dei 16 anni, poi è iniziato il mio percorso.
Mestiere di rinunce, dicono i suoi colleghi.
È vero. Assolutamente. E al di fuori appare il contrario; io ho veramente corso in maniera folle, e in quegli anni ho capito tutto e dopo ho compreso che era meglio ignorare dei punti, che era preferibile e opportuno lasciarsi andare e vivere.
“Ho vissuto borderline, ho perso opportunità e qualche miliardo”, parole sue.
Più di qualche miliardo, ma tanto è inutile pensarci.
Sesso, droga, e rock.
Mai drogata.
Alcool.
Lo adoro, però non lo reggo molto. E ho iniziato a 24 anni.
Tra la sua immagine e quello che racconta, c’è l’abisso.
E che non me ne rendo conto? Quando la gente mi parla o mi scrive secondo la percezione che ha di me, vivo una sorta di straniamento.
Come si giudica da attrice?
Brava, era la mia strada, specialmente a teatro, poi sono stata sviata dal mondo della musica.
Cosa legge?
L’ultimo libro che ho preso in mano e finito è quello di Massimo Recalcati, Mantieni il bacio, regalo di mio figlio.
Da genovese ha conosciuto bene Beppe Grillo.
Gli voglio bene, ma al tempo era un uomo un po’ triste e introverso; spesso si eclissava, un po’ lo stereotipo del comico: la tipica situazione a due facce, ben divisa tra spettacolo e vita privata.
Un classico.
Chi da questo punto mi ha stupita maggiormente è Giorgio Faletti: alcune volte siamo stati a cena insieme, solo io e lui, eppure non parlava quasi mai.
Imbarazzante.
No, però mi interrogavo, perché di solito sono in grado di discutere con i muri, mentre con lui vigeva il silenzio; veramente un tipo particolare e lui credeva molto in me, voleva cambiare la mia carriera, mi coinvolgeva in alcuni possibili progetti.
Sempre da genovese ha conosciuto Villaggio.
Il suo Fantozzi non sono mai riuscita a guardarlo, detesto quel personaggio: mi suscita una tristezza infinita, ma riconosco la grande intelligenza di Paolo.
Era sua amica?
Non ci siamo mai piaciuti, anzi ci stavamo antipatici, e con lui non seguivo l’andazzo delle altre, pronte a un atteggiamento accondiscendente e burroso; con lui ero acetosa nonostante percepissi il suo acume deciso, ma cattivo. E Fantozzi nasce da questo.
Cattivo.
Chi ha concepito un personaggio come Fantozzi deve essere necessariamente in possesso di una violenza rara, con in sottofondo il genio.
Ha cantato a Mosca quando c’era l’Urss.
Ed è stato incredibile; ho avuto paura: quando sono salita sul palco, e avevo appena 19 anni, mi sono trovata di fronte a cinquantamila persone e senza alcun preavviso.
Che vuol dire?
Immaginavo qualche migliaio, non cinquantamila, e mi sono spaventata perché ogni volta che mi muovevo sul palco, il pubblico stesso mi seguiva come un’onda: temevo qualche incidente, tanto che a un certo punto mi sono immobilizzata, fissa in un punto.
Com’era l’Urss?
Ovviamente un altro mondo, e si avvertiva un certo fascino, una stratificazione storica, una realtà non comune, una sua identità, mentre adesso Mosca è una città qualunque, dove l’atmosfera non è molto differente da quelle di New York o Londra.
Perdita d’identità
Attenzione: non voglio dire che preferivo il periodo comunista, ma si è passati all’estremo opposto e si è uccisa una fase storica.
Secondo Amanda Lear Berlusconi era pazzo di lei.
Parola sua, ma non è stato l’unico, almeno credo, e non me ne sono neanche sempre accorta.
Non le arrivavano regali imprevisti?
Quelli giungono solo se lasci intendere, se potenzialmente puoi essere comprata; sposarmi presto ha piazzato un argine importante.
Il matrimonio è un centro di gravità.
Mi aiuta a vivere più serena.
Ha ispirato Milo Manara.
E lui mi ha portato a conoscere Federico Fellini, dovevamo parlare di un progetto, in realtà ci siamo confrontati tutto il tempo sugli oroscopi.
Voleva studiare psicanalisi.
Infatti ho sbagliato tutto, lì sarei stata fantastica e avrei guadagnato il triplo dei soldi.
I soldi le interessano molto?
Solo rispetto alla mia indipendenza, e trovo volgare esibirli, è da burini mostrare barche, aerei o gioielli.
Com’era esibirsi in playback?
Un po’ un casino, non riuscivo a fingere, quindi cantavo lo stesso, anzi urlavo per sentire la mia voce e alla fine dello show restavo sistematicamente afona.
Primo autografo?
In realtà quando ero al secondo anno di liceo linguistico, ho firmato i diari di tutti i miei compagni, accompagnando il gesto dalla frase: “Tenetelo perché sarò famosa”.
Lo sapeva.
No, giocavo, era solo un sogno che avevo dentro, in realtà ero una donna bambina.
(Cantano gli Stadio in “Acqua e sapone”: “È strepitosa, donna bambina, donna vedrai bambina se lo sai. Meravigliosa. Stramaliziosa. Vieni e vedrai, che cosa sentirai”).