Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  settembre 08 Domenica calendario

Gli organi del corpo umano nel Medioevo

Indagare il passato non è mai facile. E, per una sorta di paradosso che gli storici conoscono bene, tutto è anche più complesso quando l’oggetto del nostro interesse sembra semplice, sembra darsi senza particolari fratture cognitive, senza reali distanze dalle nostre concezioni, quando l’argomento sembra avere un’oggettività che trascende i tempi.
Jack Hartnell, che insegna Storia dell’arte all’Università di Norwich, ha scritto un libro molto elegante e godibile proprio su un tema di questo tipo, che sembra semplice ma che non lo è, cioè sul corpo nel Medioevo.
Ben lontano dal cadere in anacronismi o in trappole continuiste, Hartnell risveglia i corpi medievali con tutti i riferimenti simbolici, medici, sociali che li hanno animati. Ci fa letteralmente vedere il corpo con gli occhi dei medievali, che non sono certo i nostri. E forse proprio il fatto di essere uno storico dell’arte gli ha consentito una particolare sensibilità visuale per l’argomento, anche se le fonti principali del suo libro sono fonti testuali. Il volume, del resto, non è un libro di storia dell’arte tout court, ma un libro sulle rappresentazioni culturali del corpo, una storia intellettuale.
Il libro procede organo per organo, con una descrizione che va dalla testa e dal cervello ai piedi, proprio come in certe rappresentazioni mediche medievali.
Il cervello, ad esempio, che è la sede dei processi e delle funzioni del pensiero è spesso rappresentato, anche visivamente nei manoscritti, attraverso immagini e schemi, in tutte le sue implicazioni: una rete di “nervi”, che lo irrorano e lo rendono comunicante al suo interno e al suo esterno, e zone ben precise che corrispondono ad altrettante funzioni. Una prima cella cerebrale è la sede del “senso comune”, cioè di un senso interno deputato alla raccolta delle informazioni sensoriali esterne e alla loro sintesi. Una seconda cella è sede dell’immaginazione, cioè di quella particolare funzione che trasforma i dati grezzi dei sensi in immagini o “fantasmi”, cioè i prodotti psichici e mentali che sono una prima forma di astrazione e generalizzazione dei dati. Da questa cella traggono origine la funzione “cogitativa” e quella “estimativa”, che a loro volta trasformano le immagini in concetti e in giudizi. Un’ulteriore cella cerebrale, nella parte posteriore del cervello, è sede della memoria. 
Ma la sede del pensiero e della ragione, la testa, è anche in fondo la sede della follia. Famosa fu la pazzia di Carlo VI di Francia, che si manifestò di colpo con una violenza furiosa che lo portò a uccidere quattro suoi fidati cavalieri. La pazzia tuttavia non è l’unico modo per perdere la testa. Tagliarla, con la decapitazione, è anche una forma di controllo politico e sociale, che va al di là della semplice condanna a morte e che atterrisce nella sua dimensione simbolica. Tutto il contrario delle teste dei santi, reliquie importantissime e oggetto di racconti (come anche i cuori dei re), di mediazione tra la terra e il cielo. E del resto Giovanni Battista fu decapitato e a san Dionigi, fondamentale protettore dei re francesi, era stata mozzata la testa, che il santo stesso raccolse e portò con sé fino al luogo dove decise di fermarsi e di essere seppellito.
E che dire della pelle, per citare un altro dei capitoli del volume, che mostra se stessa per nascondere quello che sta al di sotto di essa, ma anche per fornire dei segni che consentono di vedere ciò che è invisibile e, addirittura, di stare nella società. Nel trattato di chirurgia di Henri de Mandeville (1306) una figura di uomo scuoiato rappresenta bene entrambi gli aspetti. L’uomo trasporta la sua pelle su un bastone appoggiato alla spalla, a togliere la barriera di invisibilità di ciò che sta al di sotto della pelle, ma la pelle stessa – lo dice una didascalia del manoscritto – è piena di segni che rimandano allo stato interno del corpo. Le qualità superficiali della pelle, anzi dei due strati di pelle di cui lo strato esterno del corpo umano sarebbe composto, indicano al chirurgo come e dove intervenire e danno al medico (le due figure nel Medioevo non coincidono) segnali sullo stato di salute di organi interni. Dall’altro canto, più in generale, la pelle dà indicazioni “sociali”, attraverso imperfezioni e trasformazioni, come nel caso di varie malattie, dalla famosa scrofolosi, che i re di certe dinastie potevano guarire con il tocco, come segno della loro divinità, alla lebbra.
D’altra parte sulla pelle, quella degli animali, i medievali scrivevano. La pergamena, ottenuta dalla lavorazione della pelle di vitelli o pecore, è la base materiale di ogni conoscenza scritta, di ogni segno, di ogni significazione. Insomma nei dodici capitoli che compongono il libro, che parlano di altrettanti organi o elementi dei corpi, Hartnell evoca un universo simbolico, medico, politico e sociale, che fa del corpo un intreccio tra vita, morte e arte (intesa anche come intervento e interazione umana) capace di ridare voce a un mondo storico lontanissimo dal nostro, ma dal quale il pensiero europeo ha preso forma.