Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2019
Quando Florenskij combatteva la legalità
La parola “fariseo” indica comunemente una persona ipocrita o presuntuosa. Il dizionario Tommaseo Bellini, classico otto-novecentesco disponibile online dal 2015 grazie all’Accademia della Crusca, alla voce ricorda: «Per lo più nel Vangelo ha senso non buono». Tali significati, che si rincorrono da secoli nei vocabolari, non valgono per gli ebrei. Il motivo è semplice: i Farisei, che non erano sacerdoti (cioè sadducei), sono i padri del giudaismo rabbinico e quindi rappresentano gli antenati spirituali. L’apostolo delle genti Paolo dichiara: «Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei» (Atti, 23,6). Inoltre lo storico Flavio Giuseppe, che morì a Roma intorno all’anno 100 della nostra era e scrisse in greco le Antichità giudaiche, anch’egli fariseo, notava nel libro XVIII di tale opera a proposito del suo gruppo politico-religioso: «… Tutte le preghiere e i sacri riti del culto divino sono eseguiti conformi alle loro disposizioni»; e ancora: «La pratica dei loro altissimi ideali sia nel modo di vivere sia nei ragionamenti, è l’eminente tributo che gli abitanti delle città pagano all’eccellenza dei Farisei» (traduzione di Luigi Moraldi, Utet). I Farisei furono i primi ad allargare a tutti gli osservanti giudei l’obbligo di rispettare le leggi della Torah (o Pentateuco) con i suoi 613 comandi.
Perché i Vangeli pongono Gesù spesso in contraddittorio con i Farisei? Una risposta potrebbe essere questa: molte comunità cristiane, ormai paoline, avevano abbandonato l’osservanza della Torah, considerando i Farisei fedeli alla lettera del comandamento ma incapaci di comprenderne lo spirito. Un’altra la troviamo in una lezione di Pavel Florenskij, dedicata a come Orientarsi in Cristo. Lo scienziato, filosofo e teologo russo nota che i Farisei «rappresentavano la parte migliore della società giudaica, i più intelligenti e devoti agli interessi dell’istruzione. E così anche dal punto di vista religioso: essi avrebbero voluto trarre dalle leggi conclusioni tali da regolare la vita intera». Perché Gesù li attacca? Florenskij afferma che Cristo volle smascherare chi si sentiva modello di probità; non i pagani, né i peccatori, «ma coloro che avrebbero meritato quotidiana lode». In sostanza, «la forza dello scontro di Cristo con loro consiste nell’urto di due rettitudini: la legge del fare e la legge della Grazia divina». Inoltre, il requisito del fariseismo «corrisponde a una fascinazione spirituale, quando una condizione diviene un idolo».
Ci sono altre risposte in queste lezioni che Florenskij tenne a Mosca tra fine estate e autunno del 1921 agli studenti dell’Accademia teologica, ora pubblicate in italiano, a cura di Antonio Maccioni, sotto il titolo La concezione cristiana del mondo. Egli parla di tempo e spazio, di nevrastenia e scienze misteriche, di cultura rinascimentale e teoria del sacro, della filosofia di Kant e della salvezza, di argomenti che sono la sintesi della sua ricerca. Il 18 novembre scrive: «La prospettiva è un complotto contro la percezione naturale». Fascinosi infine gli appunti sull’archimandrita Fedor Bucharev, nei quali Florenskij affronta il «superamento» e l’«affrancamento» dalla legge con un «atto eroico di abolizione della legalità», per «redimere la società dal peccato d’incomprensione delle leggi di Cristo».
Sono cenni sull’universo evocato da Florenskij in quel 1921, a Mosca. Mentre Lenin sognava uno Stato con inedite direttive economiche. Mentre Majakovskij, nel poema 150.000.000, urlava: «Le nostre gesta saranno/ più difficili di quelle del creatore,/ che ha riempito/ il vuoto di cose./ Noi dobbiamo/ creare il nuovo/ con l’immaginazione…».