Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2019
L’argentina e il debito nascosto
Il governo argentino ha richiesto nei giorni scorsi di posporre il pagamento su almeno 100 miliardi di dollari debito a breve termine ed è stato costretto a imporre i controlli sui capitali per rallentare il calo delle riserve valutarie del Banco Central de la Republica Argentina (Bcra).
In molti hanno identificato uno dei fattori fondamentali alla base del probabile default dell’Argentina l’eccessiva crescita del debito in valuta estera, emesso in prevalenza a partire dal 2016 dal governo Macri e dagli enti locali. Un azzardo strategico necessario per finanziare – senza ridurre il deficit di bilancio – l’idea “gradualista” di liberalizzazione dell’economia attraverso la rimozione dei controlli sui capitali e i dazi alle importazioni.
La strategia ha subito un pesante contraccolpo con il rallentamento globale del 2018 e l’ascesa del dollaro sul peso, che ha provocato un aggravamento dell’onere del debito in termini reali del 300%, insostenibile con una bilancia commerciale in costante passivo e senza entrate valutarie.
La gravità del quadro macro-economico emerge dall’analisi del bilancio della banca centrale, dove si “nascondono” 20 miliardi di debito atipico molto costoso a brevissimo termine.
Storicamente la Bcra ha sempre finanziato il deficit governativo attraverso la creazione di base monetaria. L’amministrazione Macri, al fine di ridurre l’inflazione, ha incentivato la Bcra al controllo della base monetaria attraverso debito a brevissimo termine (Lebac – Letras del Banco Central) ancorato all’inflazione, emesso per ritirare i peso in circolazione (la cosiddetta sterilizzazione).
In difetto di risorse di capitale adeguate, la Bcra era però costretta a finanziare il costo degli interessi sui Lebac tramite monetizzazione, la cui sterilizzazione a sua volta imponeva la necessità di maggiori emissioni.
Un’operatività distorta, sintomo della difficoltà della Bcra di coniugare il mandato di stabilità dei prezzi con il finanziamento monetario del governo. L’intervento del Fmi nel 2018 ha imposto la liquidazione progressiva dei Lebac insieme al congelamento della base monetaria, ammettendo l’utilizzo più limitato di uno strumento simile, i Leliq (Letres de Liquidez), con durata di 1 settimana e collocabili solo alle banche.
La svalutazione del cambio e la crescita dell’inflazione hanno però imposto un tasso di interesse sui Leliq rapidamente in aumento: dal 25% annuo del 2017 fino all’85% di fine agosto 2019. Il costo crescente degli interessi da monetizzare e il blocco della base monetaria hanno alimentato la crescita disfunzionale delle emissioni Leliq fino ai livelli del 2018. Gli stessi problemi dei Lebac, con effetti più dirompenti.
A metà agosto 2019 la Bcra effettuava settimanalmente in asta un rolling di emissioni Leliq pari al 20% dell’intera base monetaria. Recentemente però le aste Leliq sono state disertate dagli operatori e quindi sono mancate le operazioni di sterilizzazione, facendo perdere alla Bcra il controllo della base monetaria. Un equilibrio precario è stato riacquistato a fatica solo attraverso l’utilizzo massiccio delle riserve valutarie.
Come venirne fuori? La soluzione ovvia, programmata dal Fmi solo per fine 2019, è quella di contabilizzare nel bilancio federale il debito in Leliq “nascosto” nel bilancio della banca centrale. Questo significa ricapitalizzare massicciamente la Bcra attraverso l’acquisto di titoli governativi a lungo termine.
La ricapitalizzazione aumenterebbe il debito ma consentirebbe alla Bcra di interrompere l’utilizzo patologico dei Leliq e riacquisire il controllo della base monetaria.
Un trade-off tra rischio di default ed iperinflazione, duro per un’economia già in recessione.