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 2019  settembre 08 Domenica calendario

Banche, in dieci anni tagliate 11.500 filiali

Quale sarà il futuro dell’industria bancaria? Il refrain dei consulenti del sistema finanziario europeo è noto: avanti tutta con il digital banking, chi entra più fisicamente in uno sportello bancario? Millennials e nativi digitali “vivono” sul web e le banche sono destinate a essere fagocitate dal fintech e, soprattutto, dall’inevitabile avanzata dei Big tech. Una constatazione, e anche una previsione, che procede di pari passo con un altro fenomeno storico imprevedibile fino a pochi anni fa: i tassi d’interesse (causa Quantitative easing) sono crollati e con essi i ricavi da margine d’interesse del credito. Di fatto obbligando i banchieri a tagliare i costi (ovvero sportelli e personale) per accontentare gli investitori preoccupati dal calo di redditività di una industria in profonda trasformazione. La conseguenza è che tutti i piani industriali delle big banks europee degli ultimi anni, spesso strizzando l’occhio agli investitori, hanno avuto come punto centrale il taglio dei costi. E via quasi tutti a chiudere gli sportelli, spesso acquistati a caro prezzo su input degli stessi big della consulenza che, fino a 10-15 anni fa (Internet già c’era e anche il phone banking), spingevano invece sulla centralità della rete “fisica” per mantenere il rapporto con la clientela.
Lo spirito del pensiero unico che domina il mercato bancario è ben riassunto dall’ultimo rapporto (3 settembre) dell’agenzia di rating Fitch sugli istituti europei: «La media del cost/income per le 20 maggiori banche europee era del 66% nella prima metà del 2019, ci aspettiamo una accelerazione nel taglio dei costi attraverso la chiusura di sportelli e la riduzione del personale». Un mantra che inevitabilmente contagerà le linee guida dei nuovi piani industriali che le banche, anche italiane (UniCredit, Ubi, BancoBpm), si apprestano a presentare nelle prossime settimane. Eppure il sistema bancario italiano è quello che in Europa più ha proceduto nel «disboscamento» della vecchia rete di sportelli, soprattutto grazie alla eliminazione delle sovrapposizioni territoriali create con le aggregazioni degli ultimi 15-20 anni.
Limitando l’osservazione all’ultimo decennio 2009-2018, secondo i dati del recente rapporto della società di consulenza internazionale Kpmg, le banche italiane hanno ridotto di 11.500 unità gli sportelli bancari (-37%) mentre il numero dei dipendenti si è ridotto nello stesso periodo di oltre 112.000 (-26%). Ma la grande ristrutturazione del settore, almeno sul versante della riduzione delle filiali, ha riguardato soprattutto i gruppi maggiori che nel decennio 2009-2018 hanno sostanzialmente dimezzato il numero degli sportelli (da 17.683 a 9.117). È invece rimasto stabile il network distributivo delle banche medie (passato da 3.027 unità del 2009 a 2.997 del 2018), mentre è invece aumentato il numero di filiali dei piccoli gruppi bancari che hanno incrementato complessivamente gli sportelli dagli 813 del 2009 ai 988 del 2018. La fotografia del settore da parte di Kpmg evidenzia un’accelerazione nel taglia-sportelli negli ultimi anni con punte elevate proprio nel 2018 quando «un numero consistente di gruppi bancari ha ridotto il numero di filiali di più del 10%, con un picco del -20%».
La lenta (in Italia) evoluzione verso il digital banking è destinata a ridurre ancora il numero delle filiali. Una strada che, dati alla mano, riguarderà in prospettiva soprattutto le piccole e medie banche che nei prossimi anni saranno obbligate ad aggregarsi, seguendo quanto hanno fatto le grandi nei due decenni passati. La riduzione delle filiali, e in parte anche dei dipendenti, dovrà andare di pari passo con la riqualificazione degli sportelli (in termini di operatività, tenendo conto che i servizi di pagamento avvengono ormai in gran parte online) e del personale. Le filiali del futuro saranno sempre più negozi di consulenza: retail, investimento, corporate banking. E serviranno dipendenti con una formazione adeguata al nuovo ruolo. Ma immaginare che le banche del futuro funzionino rinunciando al canale fisico è industrialmente un’assurdità. L’approccio multicanale, come in tanti altri settori industriali basati sui negozi come l’abbigliamento, pare il punto di arrivo più probabile anche per le banche. L’idea del solo-digital è forse d’interesse per qualche guru del banking ma non sembra attrarre troppo la clientela. Come dimostrano alcune ricerche che, al pari delle previsioni dei consulenti, vanno prese col beneficio d’inventario. Secondo un sondaggio della società di consulenza americana Thynk Digital, il 70% dei clienti bancari intervistati ritiene che la propria banca non potrebbe sopravvivere senza filiali. E solo il 2% esclude che gli sportelli abbiano un ruolo importante nella relazione con la banca.
A mettere in discussione l’idea globale che il modello distributivo bancario non passerà più dagli sportelli fisici è soprattutto la decisione di JP Morgan, la più grande banca del mondo occidentale, che dopo aver chiuso 137 filiali negli anni precedenti a inizio 2019 ha annunciato un piano di apertura di 400 filiali bancarie e l’assunzione di 3.000 dipendenti per presidiare negli Usa le aree di Washington Dc, Boston e Philadelphia. «Il cuore della nostra banca sono le filiali retail», ha spiegato il colosso guidato da Jamie Dimon aggiungendo con enfasi poco nota sui mercati: «Vogliamo sostenere le economie locali e aiutare le comunità a beneficiare della crescita dell’economia». Lo avessero detto alla Popolare di Sondrio, unica tra le medie banche italiane ad aver aumentato gli sportelli senza aggregazioni, il tema sarebbe forse passato inosservato. Dopo l’annuncio di JP Morgan, il «pensiero unico» del solo-digital banking sta mostrando qualche crepa. Come in ogni industria, anche nel settore bancario contano i prodotti e il mix di canali distributivi. E,soprattutto, l’efficienza.