La Stampa, 8 settembre 2019
Arriva in Siria il petrolio iraniano
Dopo un viaggio di cinque mesi, abbordaggi, sequestri e uno «scambio di prigionieri», la Adrian Darya è giunta a destinazione, nel porto siriano di Tartus, dove scaricherà il suo carico di 2,1 milioni di petrolio. I Pasdaran cantano vittoria, perché si tratta di un grosso aiuto all’alleato Bashar al-Assad. Gli Stati Uniti condannano un gesto che serve «a sostenere il regime siriano invece che la propria gente». Washington ha provato a fermare in tutti i modi il gigante da 350 mila tonnellate, partito ad aprile dall’Iran con l’obiettivo di rifornire Damasco, a corto di carburante e costretto a fronteggiare il malcontento della gente.
Le pressioni su Assad
Le sanzioni che proibiscono l’export di greggio verso la Siria sono uno degli strumenti usati dagli Stati Uniti per mantenere la pressione su Assad e costringerlo a un compromesso con l’opposizione. Teheran vuole invece aggirarle a ogni costo e così la guerra delle petroliere si è spostata dal Golfo al Mediterraneo. Lo scorso novembre l’Egitto ha proibito il transito attraverso il Canale di Suez alle navi che portano greggio in Siria. Da allora gli iraniani sono costretti a circumnavigare l’Africa. Così fa l’Adrian Darya, che alla partenza si chiama Grace 1 e batte bandiera panamense. Un modo per confondere le acque. Gli ufficiali di bordo si fanno però scoprire quando scambiano messaggi via WhatsApp con funzionari del porto siriani. L’Intelligence occidentale li intercetta. Washington chiede a Londra di intervenire. Il ministro della Difesa Jeremy Hunt incarica le autorità di Gibilterra e sottolinea che il petrolio è diretto alla raffineria di Baniyas, sotto sanzioni europee. Un commando di 20 Royal Marines parte dall’Inghilterra e all’alba 4 luglio prende il controllo della petroliera.
I Pasdaran reagiscono con altrettanta decisione. Nel giro di due settimane attaccano tre navi britanniche, nonostante la presenza di una fregata britannica di scorta, e alla fine catturano una chimichiera, la Steno Impero, con 23 marinai. Comincia una trattativa riservata, finché, il 15 agosto, Gibilterra rilascia la petroliera iraniana in cambio della liberazione della Steno Impero. Nel frattempo è arrivato un nuovo equipaggio, che ha cambiato nome alla nave e issato la bandiera della Repubblica islamica. Teheran assicura, per iscritto, che non consegnerà il greggio ai siriani. L’Adrian Darya si dirige prima verso la Grecia, poi verso il porto turco di Mersin, e ancora al largo del Libano. Poi spegne il transponder, il dispositivo che permette di localizzare i mercantili, e fa rotta verso Tartus.
Gli Usa hanno continuato a seguirla con droni ma alla fine decidono di non intervenire. Dopo l’attracco a Tartus, confermato da foto satellitari, il consigliere alla Casa Bianca John Bolton si è limitato a sottolineare come l’Iran aiuti «il regime siriano invece che la propria gente». Per Damasco è un sostegno fondamentale. Prima della guerra produceva 250 mila barili di petrolio al giorno. Ora parte dei pozzi sono stati danneggiati e altri sono nella mani dei guerriglieri curdi. La produzione è scesa a 25 mila barili e il governo deve importarne 40 mila. Il carico della Adrian Darya sarà sufficiente per un paio di mesi. Poi è prevedibile una nuova spedizione e un nuovo braccio di ferro.