Fra poco sarà maggiorenne: cosa vuol dire arrivare a un traguardo così importante senza il suo papà?
«Dicono tutti che è un traguardo perché potrò votare. Ma la politica non mi piace. Non guardo i tg, non leggo giornali: le cattive notizie mi fanno stare male. Mi rendono paurosa e paranoica. Per ora non voto. Magari più in là. L’anno prossimo andrò all’università e spero mi rafforzi. Studierò psicologia, voglio diventare una terapista per bambini con una storia difficile come la mia. Faccio terapia da quando avevo sei anni. Per quello che è successo, per come penso a papà».
Vuol parlarcene?
«Penso sempre a lui, lo amo molto. È il mio eroe. Ma è difficile spiegare la connessione con una persona che non hai conosciuto. Sono nata quando tutto era successo, non sono mai stata a lutto: e me ne sono sentita in colpa. Ora va meglio, ho capito molte cose. Ma non è stato facile. Da piccola ero rabbiosa e avevo problemi con mia sorella Amanda, quattro anni più grande».
Cosa non andava con sua sorella?
«Finii sui giornali che ero in fasce. Su di noi hanno fatto documentari, articoli. Amanda è sempre stata gelosa di tanta attenzione. Dopo l’attacco alle Torri il telefono di papà continuò a squillare e a casa si illusero che fosse ancora vivo. Lei lo aspettò per ore seduta sull’uscio.
"Perché intervistano te? Io papà me lo ricordo" diceva. Anche io ero gelosa: di quelle memorie. Ora è sposata, ha una figlia. E questo ci ha avvicinate».
Ci racconti di suo padre…
«Aveva 29 anni. Lavorava da pochi mesi per la compagnia di assicurazioni Aon, ma agì comunque da eroe. Era nella Torre Sud, la seconda colpita. Fece uscire i suoi impiegati e restò ad aspettare un altro ascensore. Quando l’aereo colpì l’edificio era al 92esimo piano: non ebbe scampo. Di lui parliamo sempre. E crescendo ho scoperto che abbiamo delle cose in comune: scriveva delle storie, proprio come faccio io».
Le ha lette, quelle storie?
«Le aveva nel portatile, distrutto quel giorno. Sono perdute per sempre. Mamma le aveva lette, ce le ha raccontate. Ma ha il rimpianto di non essere stata abbastanza attenta e non ricordarle bene».
Sua madre, Vycki Pratt, all’epoca aveva solo 30 anni.
«Ha sempre detto di non aver avuto scelta: non poteva lasciarsi andare, doveva crescere noi due. Non è stato facile, papà era il suo primo amore.
Nel 2003 si è risposata, ha avuto un’altra figlia. Voglio bene al mio patrigno, ci ha dato un’infanzia normale. Andavamo a pesca, a Disneyland. Non ha mai preteso di prendere il posto di mio padre: di Robert ci sono foto in tutta la casa».
C’è un oggetto appartenuto a suo padre che le è particolarmente caro?
«Quando seppe che ero una femmina comprò un peluche rosa, un coniglietto. È l’unico regalo che ha potuto farmi e mi è molto caro. E poi ho le sue t-shirt. Le indosso spesso».
Il diciottesimo anniversario è alle porte. Cosa farete?
«Abbiamo un rito di famiglia, molto intimo. Cantiamo, facciamo promesse. Ma alla cerimonia non andiamo mai».
Conosce altri "figli dell’11 settembre"?
«Fino a dieci anni facevamo un campo estivo tutti insieme. È stato importante frequentarli. Ci capiamo. Una di loro è la mia migliore amica».
Come festeggerà i 18 anni?
«Vorrei andare a trovare mia zia, la sorella di papà. Con la sua famiglia abbiamo ottimi rapporti, ma è rimasta solo la nonna e questa zia».
Quell’attacco ha cambiato la sua vita. E il mondo.
«Se oggi c’è tanta paura e violenza è anche a causa di quello. La mia generazione ha più paura e rabbia delle altre. Ma dovremmo imparare da quel che è successo. Non possiamo vivere nella diffidenza».
Cosa chiede al futuro?
«Cose semplici. Una vita normale, calma. Trovare qualcuno che mi ami, farmi una famiglia, lavorare con i bambini. Non dimentico mio padre, ma non sono un’attivista. Lo porterò sempre nel cuore».