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 2019  settembre 08 Domenica calendario

«Io, ragazzo della beffa di Modì»

Trentacinque anni fa, era l’estate del 1984, il suo nome fu per mesi nelle cronache di tutto il mondo per essere stato uno dei protagonisti della «beffa del XX Secolo», tale da far impallidire anche Giovanni Boccaccio. E oggi, quel ragazzo di 20 anni che con due amici, Pietro Luridiana e Michele Ghelarducci, scolpì una pietra col trapano, la gettò nei canali di Livorno dove erano in corso le ricerche delle leggendarie teste di Amedeo Modigliani, facendo credere a eminenti storici dell’arte fosse originale, è diventato un importantissimo oncologo. 
Il dottor Pier Francesco Ferrucci è direttore di Oncologia del melanoma al prestigioso Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano, fondato da Umberto Veronesi. E ora si candida a tornare nella sua Toscana – si è iscritto al concorso per dirigere l’oncologia clinica dell’ospedale fiorentino di Careggi – per portare l’esperienza dell’Ieo «in uno dei migliori ospedali del mondo, che però proprio nel campo dell’oncologia clinica, negli ultimi anni, ha avuto qualche problema». 
Dottor Ferrucci, il suo nome è ancora legato a quella burla boccaccesca, tanto che lei la cita nel suo curriculum istituzionale. 
«È vero, non mi pento di quel che abbiamo fatto allora. Ma non vorrei essere ricordato solo per essere il ragazzo che fece la beffa di Modì. Perché ho fatto qualcosa di una certa importanza anche come medico. E poi non vorrei che qualcuno non prendesse bene questa mia esposizione mediatica, perché ho un concorso da affrontare...». 
Crede che quella beffa possa attirarle ancora antipatie? 
«Eccome, ci creò parecchi problemi e qualcuno non ce l’ha ancora perdonata». 
Possibile? 
«Sì, perché per ragioni abbastanza incomprensibili ci fu una strumentalizzazione politica: ci diedero dei fascisti e siccome i nostri genitori erano professionisti e vivevamo nella Livorno bene dell’Ardenza, ci dissero che eravamo figli di papà che avevano ingannato il popolo che invece sperava di ritrovare le opere di Modigliani. Pensi che io non sono mai stato di destra. Nei giorni scorsi mi hanno anche mandato un invito per partecipare alla prossima Leopolda, ma non ho accettato perché non voglio essere etichettato e ho anche quel concorso...». 
Magari è il mondo accademico a essersela presa con voi perché a cadere nel tranello e a dire che le teste erano opera di Modigliani furono storici dell’arte illustri come Argan o Ragghianti? 
«Per un anno, quando studiavo all’Università di Pisa, non diedi esami, perché molti professori mi aspettavano al varco. Fui costretto a cambiare corso, ma mi sono comunque laureato in Medicina in tempo e con lode. Ma non è finita, ci accusarono anche di voler far soldi con le interviste, ma gli unici soldi che prendemmo, per la vendita di una delle nostre teste, li abbiamo dati in beneficenza». 
A chi? 
«Alla Curia di Livorno e alle suore di Montenero, per opere di bene. Pensi che mettemmo all’asta la testa a Superflash di Mike Bongiorno, ci ricavammo venti milioni di lire e poi mi ritrovai proprio di fronte a Mike, con una litigata furiosa nel suo camerino e con la sua security che mi voleva fare la festa, perché lui quei soldi voleva darli in beneficenza a una comunità di Palermo. La spuntai io. Ma ancora oggi in Toscana c’è chi dice che lo facemmo per un secondo fine». 
E invece quale era l’obiettivo? 
«Divertirci, solo divertirci. E ci siamo divertiti tanto». 
Oggi è un medico affermato: Pier Francesco Ferrucci non è più solo il ragazzo della beffa di Modì. 
«Dopo anni di ricerca di base allo Ieo sono diventato un punto di riferimento per le ricerche cliniche, con l’obiettivo di portare fino al letto dei pazienti le ultime novità di laboratorio. In passato ho anche rinunciato a New York per restare in Italia. Ma qui ho fatto strada, partecipo a importanti ricerche internazionali. Le ultime due stanno per uscire su riviste prestigiose coma Nature Medicine e New England». 
Anni fa lei disse che dopo la beffa di Modì voleva beffare il cancro. A che punto siamo? 
«Oggi i tumori aumentano, ma le nuove cure danno più speranza di vita che in passato. E con le bio-immunoterapie stiamo finalmente cambiando la prospettiva della lotta ai tumori».