Corriere della Sera, 8 settembre 2019
Johnson e Trump allo specchio
Nella sua battaglia per uscire dalla Unione Europea a tutti i costi, Boris Johnson ha potuto contare, sino agli scacchi degli scorsi giorni alla Camera dei Comuni, su due alleati. Il primo è la vaghezza di un sistema istituzionale che permette al capo del governo di chiudere il Parlamento, senza consultarlo, per cinque settimane. Dopo essersi lungamente compiaciuta delle proprie peculiarità (la Gran Bretagna non ha una Carta costituzionale ed è governata sulla base di antichi precedenti) il Paese scopre che il suo Primo ministro può attribuire a se stesso, sia pure temporaneamente, i pieni poteri.
Il secondo alleato è Donald Trump. Johnson sa di potere contare sulla simpatia del Presidente degli Stati Uniti. I due uomini si assomigliano. Sono vanitosi e ambiziosi, hanno un concetto molto disinvolto della verità e della coerenza, sono esperti nell’arte di solleticare le nostalgie nazionalistiche dei loro connazionali e hanno nella Unione Europea un nemico comune. Le loro politiche non sono le stesse, ma entrambi credono che l’Ue incarni principi e ideali «pericolosi»: una eccessiva presenza dello Stato in alcuni settori della economia e della vita pubblica, forme di collaborazione internazionale (come le zone di libero scambio) che riducono considerevolmente l’autonomia commerciale dei singoli Stati e, soprattutto nel caso di Trump, un predilezione per tutte le misure della politica ambientale che piacciono ai grandi interessi economici e finanziari degli Stati Uniti. Entrambi detestano l’Ue perché sono convinti che sarà più facile vincere una partita negoziando separatamente con i singoli Paesi piuttosto che trattando con una unione multinazionale. Nel caso di Trump una delle ragioni per cui il presidente americano considera l’Ue un potenziale nemico è l’Iran. Vuole boicottare il Piano di azione congiunto globale firmato a Vienna il 14 luglio 2015 (quando il presidente degli Stati Uniti era Barack Obama) e indurre l’Iran ad abbandonare la sua politica nucleare. A Trump non piacciono le soluzioni razionali concordate con reciproci sacrifici. Vuole piegare l’Iran alla sua volontà e aizzare contro il regime di Teheran le masse popolari. Non sappiamo quale sarebbe, in questo campo, la politica di Boris Johnson. Ma se vorrà fare dell’amicizia americana il principale tassello della sua politica estera, dovrà certamente pagare a Washington qualche debito.
Di fronte a questo nuovo, possibile asse anglo-americano, l’Europa dovrà rafforzare le proprie difese. Non dovrà permettere che nell’ultima fase del negoziato (l’uscita dalla Ue è prevista per il 31 ottobre e il prossimo Consiglio europeo per il 17 e il 18 dello stesso mese), Londra persuada qualche sovranista a distaccarsi dalla linea di Bruxelles. E dovrà fare con maggiore coerenza e fermezza una comune politica militare.