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 2019  settembre 07 Sabato calendario

Gli studi scientifici sull’invidia

«L’invidia appartiene ai mediocri, agli inutili, ai falliti, a coloro che hanno bisogno di sminuire la vita degli altri per sentirsi appagati». Da “Frasi & Aforismi”. Ma l’invidia è un peccato o una malattia? Sicuramente è un sentimento non sano, uno stato d’animo per cui, in relazione a un bene o una qualità posseduta da un altro, si prova dispiacere e astio, per non avere noi quel bene o quella qualità, e a volte il risentimento è tale da desiderare il male di colui che la possiede. L’invidia di per sé è una emozione negativa, è la “stretta” che si prova quando si viene a sapere che un altro ci ha superato, una vera e propria sofferenza che nasce da un confronto perdente, in un campo che è ritenuto importante per la persona invidiosa, e può diventare un sentimento duraturo, evolvere cioè in uno stato di malessere, di malumore e di malevolenza perpetua verso la persona invidiata. Tutti conoscono l’invidia, perché tutti l’hanno provata anche se nessuno osa confessarla, anzi, essa viene sempre negata di fronte all’evidenza, e spesso viene giustificata come ira o gelosia, perché tutti sanno che è una emozione meschina, la più infida e la più nascosta, in quanto ha in sé due elementi disonorevoli, ovvero l’ammissione di sentirsi inferiore e il tentativo di danneggiare l’altro senza gareggiare a viso aperto, ma in modo subdolo, vile e sotterraneo, con una ostilità negata, mascherata da commenti denigratori nel tentativo ossessivo di privare la persona invidiata proprio di ciò che la rende invidiabile. Tradizionalmente si teme lo sguardo malevolo dell’invidioso, perfido e sottile, che non tutti riconoscono, e non a caso la parola latina invidia ha la stessa radice di “videre” ossia vedere, preceduta da “in” che implica inverso, ovvero vedere al contrario la realtà, e non a caso Dante Alighieri, nella Divina Commedia, mette gli invidiosi in purgatorio, con le palpebre cucite con fil di ferro, per chiudere gli occhi che invidiarono e gioirono alla vista dei mali altrui.

COLLEGHI E AMICI
L’invidia non si prova per i grandi della terra, per le persone irraggiungibili, sarebbe uno sforzo ed un confronto inutile, ma insorge soprattutto verso chi è simile, per le persone che si considerano paragonabili come condizioni di partenza, e spesso il bersaglio di invidia diventano quelle più vicine, a cui si vuole bene, come compagni di classe, colleghi, ma anche amici o fratelli, perché dal punto di vista psicologico l’uguaglianza di opportunità rende doloroso l’essere o il diventare inferiori rispetto ai successi di una persona ritenuta uguale o minoritaria. Perché lei sì e io no? Più il confronto è bruciante, astratto o sproporzionato, più la persona invidiosa invidia, diventa ostile, e desidera ferire, sminuire, denigrare e addirittura far del male alla persona invidiata, pur di annichilire il rivale, colpirlo con maldicenze, pregiudizi, cattiverie, costruire prove false al fine di dileggiarlo e danneggiarlo agli occhi dell’altro. Se non stupisce che nella cultura cristiana l’invidia sia uno dei 7 vizi capitali, per la psicologia essa è considerata una debolezza emotiva del paziente, una frustrazione accompagnata da infelicità, da senso di inadeguatezza ed inferiorità, con un deficit grave di auto-valutazione. Non solo. L’invidia viene considerata alla stregua di una malattia dolorosa, e gli scienziati che hanno analizzato con Risonanza Magnetica funzionale cosa accade nel cervello dei pazienti invidiosi, hanno constatato l’aumento dell’attivazione della corteccia cingolata anteriore e dorsale dell’encefalo (legate all’elaborazione del dolore fisico o sociale) tanto maggiore quanto più intensa era l’invidia che il partecipante diceva di provare, come anche il suo senso di esclusione.

OSTILITÀ
Dunque l’invidia è dolorosa, ma è anche potenzialmente pericolosa per gli altri, dal momento che implica ostilità, è socialmente distruttiva, minaccia lo status quo e mette in dubbio la correttezza professionale, la legittimità delle scelte e la credibilità della persona invidiata. L’invidia però è velenosa per chi la vive, per chi la esprime cercando di sopraffare il senso di inadeguatezza, ed autoconvincendosi che il successo dell’altro non sia meritato, che si sia in possesso di qualità migliori, e che le stesse non si sono potute esprimere per situazioni svantaggiose causate dall’altro. Mentre dunque per la psicologia l’invidia è considerata un disturbo patologico dell’umore, un deficit temporaneo o permanente, che condiziona e distorce fortemente l’emotività ed il comportamento, per la psichiatria invece, l’invidia nel corso dell’evoluzione in molti casi si sarebbe rivelata un beneficio, poiché viene descritta come un meccanismo psicologico che avverte che qualcun altro ha guadagnato un vantaggio e dà la spinta per ottenere lo stesso. Secondo uno studio dell’University of Texas l’invidia è un’emozione sviluppata come “sostegno” nella competizione per le risorse, come può essere la conquista di un partner o del cibo, e gli individui invidiosi che giudicano i rivali investono più in sforzi per raggiungere l’obiettivo e non restare indietro, essendo già in partenza sfavoriti nella selezione naturale. Comunque nessuno mai ammette l’invidia, sia per non rendere evidente la propria posizione inferiore, sia per non essere riconosciuto come uno che “parla solo per invidia”, ma è bene sottolineare che all’invidia è collegato anche un piacere, ovvero la soddisfazione che si prova davanti alle disgrazie altrui. La psichiatria ha chiamato questo disturbo “schadenfreude”, ovvero il fenomeno che insorge quando una crisi stronca un brillante rivale, o la gioia nascosta che si percepisce quando un affascinante conoscente, fino ad allora ammirato e adorato da tutti, ha avuto un grosso problema e deve scendere uno o più gradini, cosa che provoca un più che sottile piacere. Anche questo fenomeno è stato analizzato a livello cerebrale, e di fronte alle sventure capitate ai personaggi invidiati, è stata registrata l’attivazione dell’area encefalica legata al “circuito della ricompensa”, poiché nel momento che la sfortuna della persona vincente la “abbassa” al nostro livello, si registra un riequilibrio delle posizioni mentali, e lo svantaggio dell’altro si trasforma in superiorità e soddisfazione dell’invidioso, in modo che il dolore dell’invidia si tramuta in una sensazione di gioia, placando il senso di ingiustizia subìto psicologicamente.

LE DONNE
Gli studiosi hanno evidenziato che l’invidia è ugualmente sviluppata in entrambi i sessi, anche se sono le donne a manifestarla pubblicamente in modo maggiore, soprattutto nel campo dell’avvenenza, oppure nei confronti di rivali che possiedono qualità che si vorrebbero avere, come bellezza, gioventù, riconoscimento sociale, approvazione generale e successo, ma è una emozione negativa che insorge anche in età infantile, quando cominciano le competizioni e si educano i bambini alla condivisione sociale. In più l’invidia dei piccoli pazienti si può mescolare alla gelosia per l’affetto dei genitori, che si teme di perdere, e che si subisce per le loro preferenze o scelte effettuate ed imposte e non condivise. L’invidioso in genere lancia tre messaggi: sono inferiore, ti sono ostile e potrei anche farti del male. Per questo l’invidia è distruttiva, richiede uno spreco di energie fisiche e mentali, minaccia la salute psicologica dell’invidioso, che diventa instabile e aggressivo, reagisce aspramente agli eventi ostili, ed attribuisce il suo insuccesso alla sfortuna, invidiando ancora di più i risultati positivi del rivale. Oggi l’invidia è diventata il peccato capitale più diffuso dell’era dei social, soprattutto tra i giovani, ed è più intensa per la facilità con cui ci si addentra alle foto e commenti degli altri postati su Instagram o su Facebook, alle esperienze positive che non si possono realizzare e che scatenano le reazioni più disparate, sempre negative, come il desiderio di essere al posto di quella persona, se non addirittura desiderare che si ammali o sperare che muoia. L’invidia comunque è un sentimento che divora chi lo nutre, maschi e femmine, e chi la prova non riesce ad instaurare reazioni positive con gli altri, restando bloccato in sentimenti come il risentimento, l’astio e la vergogna, con un senso di insicurezza che si approfondisce e che porta al crollo della fiducia in se stessi. Per cui continuare a chiedere al proprio riflesso: “specchio, servo delle mie brame, chi è la più bella del reame?” non serve a nulla, perché l’invidia è come una malattia maligna, è cattiva, è progressiva ed ha sempre due facce. Sta a noi decidere quale guardare.