la Repubblica, 7 settembre 2019
Il palmo diventa bancomat. Test di Amazon
Dai un dito e si prendono la mano. Dimenticate l’impronta digitale per attivare lo smartphone, negli Stati Uniti stanno pensando direttamente a quella del palmo, anche se stavolta in ballo non c’è il settore dei telefoni quanto quello degli acquisti nei supermercati.
Mentre all’Ifa di Berlino, una delle fiere di tecnologia più grandi d’Europa, Amazon ha appena presentato l’accordo con Netflix per offrire un catalogo di film e serie unificato con il suo servizio streaming, dall’altra parte dell’Oceano sperimenta una nuova forma di pagamento. Che pare la voglia introdurre a breve nella catena di alimentari Whole Foods, acquisita nel 2017, per eliminare le file alle casse. Si entra, si mette nel carrello quel che si vuole e si salda il conto porgendo la mano. Già, perché il sensore è di nuova generazione e non richiede di poggiarla. Grazie all’intelligenza artificiale applicata all’analisi delle immagini, analizza dimensione e geometria di dita e palmo riconoscendo il cliente. Il sistema ha in memoria l’impronta, legata a una carta di credito, e avrebbe un margine di errore di uno su diecimila operazioni. Ma si sta lavorando per ridurlo a uno su un milione. La soffiata è arrivata al New York Postdagli impiegati degli uffici di Amazon che in questi giorni sarebbero stati cooptati come cavie per verificare l’affidabilità della soluzione chiamata in codice Orville.
«La biometria, in fase sperimentale in diversi supermercati, serve per velocizzare le operazioni alla cassa fino ad eliminarla quasi del tutto», spiega Ivano Asaro, a capo dell’Osservatorio mobile payment del Politecnico di Milano. «E, in prospettiva, potrebbe sostituire anche la carta di credito così la conosciamo oggi».
Amazon da questo punto di vista non è sola. L’americana Keyo, nata nel 2015, utilizza il reticolo venoso sempre della mano per identificare il cliente. In Russia una catena di supermercati sfrutta l’impronta digitale. In Cina al contrario puntano al riconoscimento facciale, sia online sia nei negozi fisici. E poi ancora i pagamenti via smartphone con la scansione dell’iride, fino al caso estremo del chip sottopelle usati in Svezia da 10 mila persone.
«Non commentiamo le voci di corridoio» fanno sapere da Amazon che di tecnologie ne brevetta tante e che raramente concede chiarimenti su quel che sta testando. Ma che nella multinazionale di Seattle abbiano la fobia per tutto quel che può rallentare il processo di acquisto, prima sul Web e ora suoi negozi, non è una novità. Richard Brandt, nel saggio “One click. La visione di Jeff Bezos e il futuro di Amazon”, ha descritto bene l’attenzione posta nel brevetto del 1999 che permette di comprare online sul più grande supermercato del Web in un solo passaggio.
La catena Amazon Go, inaugurata proprio nel quartier generale di Amazon nel 2016, va nella stessa direzione: un complesso di videocamere intelligenti riconosce automaticamente quali prodotti mettiamo nel carrello e calcola il totale da addebitare sulla carta di credito. Bisogna però passare su un lettore all’entrata il proprio telefono, con la sua app dedicata, come fosse una carta di imbarco.
Orville può sembrare fantascienza, in fondo però sembrava fantascienza anche il sensore per le impronte digitali sullo smartphone prima della sua diffusione a partire dal 2013. Stando alla Deloitte, ne erano stati montati oltre un miliardo già 5 anni dopo e oggi il 60 per cento dei telefoni ha un sistema di riconoscimento biometrico di qualche tipo, che sia l’impronta, il battito cardiaco, la scansione dell’iride, il reticolo venoso della mano. «Tecnologie simili in prospettiva si potrebbero impiegare perfino per abbonamenti e buoni pasto», conclude Ivano Asaro. «Ma ripeto: siamo alle sperimentazioni, benché ormai su scala sempre maggiore ».
Insomma, porgere la mano (o la faccia) per pagare al supermercato è nel futuro di tutti noi, anche se si tratta di un futuro non proprio dietro l’angolo.