la Repubblica, 7 settembre 2019
Identikit del ribelle di Hong Kong
C’è chi punta la sveglia all’alba, anche di sabato. «L’ho messa alle sei, per l’aeroporto bisogna partire presto». Oggi (per chi legge, ndr )i ragazzi mascherati di Hong Kong proveranno ad assediarlo di nuovo, come la settimana scorsa. E Jack, si fa chiamare così questo 25enne ben piazzato, la croce rossa dei volontari primo soccorso sul giubbotto fluo, vuole esserci. Alla quattordicesima settimana di proteste lo zaino si prepara in automatico, anche al buio: «In quello medico ho il materiale per il primo soccorso: collirio e acqua ossigenata, garze e bende. Nell’altro metto le mie cose, vestiti di ricambio e due banane». Meglio premunirsi: la giornata può essere lunga e movimentata. L’aeroporto internazionale è un obiettivo simbolico, per questo i ragazzi lo puntano, ma anche uno dei più difficili da raggiungere. Si trova a una trentina di chilometri dal centro di Hong Kong, su un’isola. Già stasera su forum e chat girano le indicazioni su come arrivarci, e mentre partecipa a un raduno (pacifico) davanti al Parlamento, Jack pianifica il percorso. «Potrebbero chiudere la metropolitana. Prenderò il bus, alle 8 dovrei esserci».
Così inizia una giornata di ordinaria disobbedienza, l’ennesima. Ma quanti parteciperanno? Carrie Lam, che ha finalmente ritirato la legge sull’estradizione, spera che a una parte del movimento basti. Che la stanchezza sgonfi la protesta, lasciando sulle barricate solo i più violenti. «Manifestare è diventato un lavoro – ammette una ragazza 22enne iscritta a economia – non so neppure quante marce ho fatto, mi sono dimenticata di essere una studentessa». Il fatto è che questo lavoro ai ragazzi di Hong Kong piace, è passione e missione: «I miei genitori vorrebbero che pensassi alla carriera – continua – io ho rinunciato a discuterci, racconto che avrò lezione fino a tardi o che vado al museo». Il trucco, buono anche per la polizia, è avere due magliette: esci la mattina vestito di bianco, poi una volta arrivato a destinazione metti sopra un nero protesta, la sera lo togli. Meglio una mezza bugia di una litigata. «Né i genitori né la scuola ci possono impedire di venire», dice un gruppetto di liceali 18enni particolarmente bardati, atteggiamento e attrezzatura da professionisti. Laser per accecare la polizia, elmetti che si usano nelle simulazioni di guerra («80 euro»). E negli zaini? «Cose che non ti posso far vedere». A sera sono arrivati davanti al palazzo del Parlamento, ma oggi qui è tutto tranquillo e sono pronti a cambiare di nuovo fronte. «A Prince Edward stanno circondando la metro – fa uno guardando il telefono – adiamo lì».
A giugno qualcuno si illudeva che le vacanze estive li avrebbero distratti. E invece loro le hanno passate così, svegliandosi la mattina e cercando sul menù del giorno la protesta, pacifica o aggressiva, a cui unirsi. Ora il governo e Pechino sperano che sia l’inizio di scuole e università, o per i più grandi il ritorno degli uffici a regime, a spegnere il movimento. Anche per questo Carrie Lam ha deciso di fare la sua concessione proprio ora. Eppure in queste settimane tanti cittadini di Hong Kong si sono abituati ad organizzare la propria vita attorno alla protesta. Consulenti in camicia bianca, non proprio dei Masanielli, manifestavano durante la pausa pranzo. Studenti diligenti arrivavano in piazza dopo la campanella. Qualcuno ha perfino chiesto le ferie: «Non volevo avere problemi con la mia azienda, e così per partecipare allo sciopero di martedì scorso mi sono preso una giornata di vacanza», dice Cheung, 28 anni, addetto al controllo qualità.
È soprattutto nei festivi che ci si ritrova insieme. «Questo fine settimana è importante – dice Tammy, 20 anni e capelli rosa – dobbiamo far vedere a Carrie Lam che le nostre cinque richieste vanno accettate tutte». Finora, ogni volta che la Chief executive ha parlato l’effetto è stato mobilitare più gente. Si vedrà oggi, con il nuovo “test di resistenza” a cui i ragazzi sottoporranno l’aeroporto. Tammy ci andrà, ha messo a punto il suo completo da marcia, pantaloni neri elasticizzati e scarpe da trekking: «Le ho comprate apposta». È d’accordo con due amiche, partiranno verso le 10 e arriveranno all’ultima fermata della metro arancio, poi proseguiranno a piedi, sono cinque chilometri. «Se vieni, ricordati l’acqua e un ombrello, è previsto sole». Meglio essere previdenti: non si sa mai quando e come può finire un giorno di protesta, anche per chi come loro si tiene a distanza dagli scontri. La scorsa settimana, dopo la ritirata dall’aeroporto, le autorità hanno bloccato tutti i mezzi di trasporto da e verso il centro. Migliaia di ragazzi si sono ritrovati bloccati. Alcuni si sono incamminati a piedi, sotto la pioggia, lungo la superstrada che porta in città, sperando di essere raccolti dalle macchine di passaggio. «Alla fine un signore ci ha preso – racconta Tammy – siamo arrivate a casa all’una, esauste».