Corriere della Sera, 7 settembre 2019
Rivolta per la paga delle calciatrici giamaicane
«No woman no cry» cantava un tempo Bob Marley. «No pay no play» scandiscono oggi le «Reggae Girlz» che al re della musica afroamericana sono in qualche modo legate. Non sono una band, ma la prima nazionale di calcio femminile caraibica ad essere riuscita a qualificarsi per i Mondiali. Le abbiamo viste in campo a giugno stracciate dalle azzurre eppure vincenti: erano la squadra cenerentola del campionato ma il solo fatto di essere approdate in Francia a sfidare le «reginette» è stato il coronamento di un sogno considerato impossibile fino a qualche anno fa, quando la formazione si sciolse per mancanza di finanziamenti. È stata proprio la figlia più piccola di Bob Marley, Cedella, a farsi carico della raccolta fondi necessaria per ripartire. Con un’ambizione: far diventare «le ragazze del reggae» la prima nazionale caraibica a qualificarsi per Francia 2019. Missione compiuta. Con questa impresa le «Reggae Girlz» hanno fatto la Storia ma questo a loro non basta. Sono ragazze toste, agguerrite dentro e fuori dal campo. Minacciano di appendere le scarpe al chiodo e incrociare le braccia, determinate a vincere la partita più importante: quella di vedersi riconosciute il diritto a essere pagate, da professioniste che sono.
Prima dei Giochi, a maggio, dopo una estenuante trattativa, per la prima volta erano riuscite a strappare alla Federazione giamaicana un contratto che prevedeva la loro retribuzione: da 800 a 1.200 dollari al mese, con effetto retroattivo da gennaio. Ma finora nulla sarebbe stato corrisposto. Così qualche giorno fa è iniziato a rimbalzare sui social lo slogan «no pay no play», «senza paga, niente gioco».
«Abbiamo fatto molti sacrifici per portare i colori della Giamaca» si è sfogata su Instagram la stella della squadra, Khadia Shaw, detta «Bunny» (per via dei suoi due incisivi superiori e della passione per le carote), in prima linea in questa battaglia. «Non è soltanto per i soldi, ma per cambiare il modo in cui il calcio femminile è visto, specialmente in Giamaica» ha spiegato l’attaccante che gioca anche con le francesi del Bordeaux. Un messaggio rilanciato anche dalle americane campionesse del mondo, a iniziare da Alex Morgan, influencer con 8 milioni di follower.
«Non hanno mantenuto le promesse,sospendo la mia partecipazione a qualsiasi evento della nazionale finché la Federazione non adempie al contratto» ha minacciato la difensora Dominique Bond-Flasza.
«Abbiamo combattuto per il cambiamento, siamo diventate la prima squadra a firmare contratti con la nostra Federazione – ricorda su Twitter Allyson Swaby, una delle tre ragazze «arruolate» anche nella serie A italiana (lei gioca nella Roma,insieme alla connazionale Trudi Carter, poi c’è Toriana Patterson con il Pink Bari). «Questi contratti simbolizzano il rispetto che meritiamo e intendiamo ricevere» puntualizza Allyson.
La mobilitazione delle «girlz» ha ottenuto una risonanza mondiale e la difesa della Federazione non si è fatta attendere: «Le abbiamo pagate la metà rispetto a quanto pattuito, la verità è che non abbiamo ancora ricevuto i soldi dalla Fifa, per questo non riusciamo a saldarle» si è giustificato il presidente in un comunicato.
Parole che non convincono Cedella Marley: «Io sto con le Reggae Girlz» posta su Instagram l’imprenditrice che ha fatto risorgere la squadra con l’aiuto della Bob Marley Foundation. La passione per il pallone del resto lei l’ha presa dal padre. Ma è andata oltre, suo lo slogan: «Il calcio è donna».