il Fatto Quotidiano, 7 settembre 2019
Berlusconi si tiene Il Giornale
Ora che i “comunisti”, come è solito appellarli da tempo immemore, sono tornati al governo, il padre-padrone di Forza Italia, Silvio Berlusconi, riscopre l’utilità di avere il megafono di casa. Secondo quanto riportato da Milano Finanza nei giorni scorsi, mister B. avrebbe congelato la vendita de Il Giornale, l’organo di famiglia posseduto in via indiretta dal fratello, attraverso la Pbf con il 57% del capitale e la sua Mondadori con il 36,8%. Segno dei tempi.
Preoccupaevidentemente l’impatto del Governo giallo-rosso sugli affari della galassia, con il rispolvero della legge sul conflitto d’interessi e su un eventuale riassetto del sistema televisivo. Una preoccupazione che soverchia ogni considerazione di tipo economico sulle sorti del giornale. Testata che ha i conti a picco e diffusioni a precipizio. L’anno scorso la Società Europea di Edizioni, che edita il Giornale, ha chiuso con una perdita secca di 9,6 milioni su un fatturato in calo a 27,5 milioni dai 32 milioni del 2017. La perdita si cumula con quella del 2017 di 6,5 milioni. E di fatto costringe per l’ennesima volta gli azionisti a ricapitalizzare. Dopo l’aumento di capitale per oltre 5 milioni nel 2017 anche nel 2018 Paolo Berlusconi e Mondadori hanno messo mano al portafoglio con un versamento di altri 7,7 milioni. Il tutto per tenere in piedi un organo di informazione che brucia capitale ogni anno che passa. Anche il 2019 dovrebbe chiudere in forte perdita.
Una via crucis che va di pari passo con la caduta delle vendite in edicola e la contrazione della pubblicità. In solo 2 anni, i ricavi del Giornale sono scesi del 30% con il venduto in edicola arrivato a giugno di quest’anno a 43mila copie. Un lento inesorabile declino che si accompagna al lento decadere politico di Silvio Berlusconi e della sua Forza Italia a favore di una destra più aggressiva con i lettori che hanno abbandonato il Giornale a favore de La Verità di Belpietro o di Libero di Feltri. Tenere in piedi una testata che segna perdite per il 30% dei suoi ricavi è una follia imprenditoriale, tanto che la decisione di sbarazzarsene era stata presa da tempo. Del resto nel bilancio della PBf la crisi del Giornale pesa eccome. La See, la società che edita la testata, era iscritta a un valore di 57 milioni solo qualche anno fa. Nel 2017 il valore era già stato svalutato a poco più di 15 milioni. Evidentemente avere un megafono, ora con un governo “nemico”, prevale su ogni ragionamento economico. Per uno degli uomini più ricchi e liquidi d’Italia quei pochi milioni di oneri da pagare come editore sono peanuts, bruscolini. In pratica, tenere un giornale in perdita ha un costo che è più che ripagato dai benefici indiretti del controllo di un organo di informazione.
Ma anche la famiglia Berlusconi quando di tratta di ristrutturare e di usare denaro pubblico non si fa scrupoli. E l’accetta si è abbattuta sui giornalisti.
A fine luglio è stato firmato un accordo di solidarietà che prevede il taglio del 21% medio della retribuzione per due anni con astensione dal lavoro per 4/5 giorni mese. Equivale a esuberi per 14 giornalisti su 59. Ma nel corso della lunga trattativa, più di una decina di giornalisti è uscita con incentivi all’esodo. La solidarietà, che è in parte pagata da Inpgi e Inps e quindi dai contribuenti, avrebbe dovuto scendere in virtù delle uscite volontarie. Ma l’azienda ha imposto ugualmente – minacciando misure più drastiche come la Cassa integrazione – tale entità del taglio approfittando dei contributi degli enti di previdenza. Quando c’è da risparmiare, il pur ricchissimo Berlusconi non si tira certo indietro.